Mediterraneo nucleare

di Mario Seminerio  – © Libero Mercato

La Casa Bianca ha recentemente dichiarato di non avere obiezioni alla scelta del presidente egiziano Mubarak di imboccare la via del nucleare civile mentre Sarkozy propone di fornire impianti ed assistenza tecnico-nucleare al Marocco. Potremmo quindi domandarci se la politica dell’Occidente è: l’Iran no, perché con il nucleare civile poi si fa la bomba, l’Egitto ed il Marocco si perché sono paesi controllabili ed “amici”. E’ stato più volte evidenziato che un paese che abbia impianti atomici per la produzione dell’elettricità si trova ad un passo, se lo vuole, dalla possibilità di farsi la bomba. Ma, dicono oggi a Washington e Parigi, se accetta le norme e le ispezioni dell’Aiea, non c’è alcun rischio. La storia degli ultimi anni sembra suggerire che, in realtà, l’Aiea è solo una foglia di fico. Ma cosa c’è dietro la corsa al nucleare, per ora solo civile, da parte dei paesi del Mediterraneo? Possiamo tentare l’analisi in base a due piani di lettura, compenetrati: quello economico e quello politico.

Partiamo dall’Egitto, ove il presidente Mubarak ha annunciato, alla fine di ottobre, che il governo (cioè egli stesso) ha assunto “la ferma decisione” di procedere con la costruzione di una serie di impianti nucleari, ed ha istituito, assumendone la guida, il “Consiglio Superiore per gli usi pacifici dell’energia nucleare”. Le motivazioni economiche della decisione sono apparentemente razionali, oltre che palesi: negli ultimi dieci anni, la domanda di elettricità è cresciuta in Egitto di quasi il 10 per cento annuo, a sostegno di una crescita del pil che in media è del 7 per cento annuo. Per reggere lo sviluppo della domanda le autorità egiziane hanno deciso di costruire una serie di centrali turbogas, integrate da impianti eolici nel Golfo di Suez, mentre è in corso la costruzione di una centrale ibrida solare nei sobborghi del Cairo.

Occorre considerare che la generazione alternativa di elettricità servirebbe anche a mantenere ed accrescere i flussi di esportazioni energetiche, soprattutto di gas naturale, venduto per mezzo di pipelines anche a Siria, Israele e Giordania, paesi privi di rilevanti risorse energetiche proprie. Ma nella regione vi sono anche importanti produttori petroliferi, quali Arabia Saudita, Algeria e Libia, interessati al nucleare civile. Le motivazioni possono essere simili a quelle dell’Egitto: massimizzazione degli introiti valutari da export energetico, aumento di capacità di generazione a supporto dell’agognato decollo economico, aggiungiamo anche valutazioni in merito all’imminente (o già avvenuto) Peak Oil, il momento di massima produzione petrolifera globale, dopo il quale si verificherebbe un inesorabile declino con prezzi in ascesa, anche drammatica. Ma vi sono anche motivazioni politiche per questa corsa al nucleare.

I paesi sunniti della fascia sud del Mediterraneo sembrano ormai convinti che l’Occidente non riuscirà a fermare lo sviluppo nucleare (civile e militare), dell’Iran sciita, e premono per poter disporre di una deterrenza, come fece De Gaulle che ne diede l’esempio creando un pur limitata “Force de Frappe” contro la soverchiante potenza nucleare militare dell’Unione Sovietica, oltre che per negoziare da una qualche posizione di forza la propria permanenza nell’ambito della Nato. Un concetto semplice e terribile, come De Gaulle disse al generale Gallois che gli illustrava il progetto: ‘non potremmo distruggerli, ma gli strapperemmo un braccio e non gli può piacere’.

La via del nucleare (oggi civile, domani fors’anche militare), sembra quindi aperta all’Egitto, al Marocco, verosimilmente all’Algeria e Tunisia, all’Arabia Saudita, agli Emirati e certamente alla Turchia. Stati “sicuri” ma non troppo, perché esposti a rivolgimenti interni di varia natura ed intensità. Gli Stati Uniti e la Francia sembrano aver scelto la strada della proliferazione nucleare “indiretta e controllata”, probabilmente senza aver consultato le altre nazioni d’Europa, o cercando di allestire qualche fumoso progetto di partenariato euromediterraneo come quello annunciato di recente da Sarkozy, che rappresenta anche un tentativo di archiviare definitivamente la strategia mediterranea della Ue, elaborata anni addietro a Barcellona, e che di fatto non è mai decollata.

In fondo, sostengono gli “ottimisti della deterrenza”, che spesso sono anche nostalgici del containment della Guerra Fredda, è proprio la strada della deterrenza atomica che per mezzo secolo ha governato le relazioni tra l’Occidente ed i paesi dell’area sovietica. Ma si tratta di una valutazione forse semplicistica, proprio perché la deterrenza nucleare dell’era della Guerra Fredda si svolgeva in un contesto di stabilità bipolare di teatro (lasciando alla periferia dei due imperi le macerie delle guerre “a bassa intensità”), mentre lo scenario medio-orientale è, da sempre, frantumato ed altamente instabile, con o senza la variabile aggiuntiva dell’islamismo. Sfortunatamente, e proprio per le considerazioni economiche relative alla produzione energetica, anche l’eventuale annichilimento, per via militare, della nascente potenza nucleare iraniana non eliminerebbe (pur verosimilmente rallentando) la corsa al nucleare civile e le sue potenziali ramificazioni militari in tutta la regione.

L’ipotesi, non propriamente rassicurante, è che questa strategia potrebbe governare negli anni a venire la nostra vita nell’area del Mediterraneo.


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