di Andrea Gilli
Il Washington Post di alcuni giorni fa riportava la notizia secondo la quale gli Stati Uniti vorrebbero “conquistare le spazio”. Con la revisione del Presidential Decision Direct/NSC-49/NSTC-8, National Space Policy del 14 settembre 1996, la Casa Bianca ha infatti sancito alcuni punti cardine sui quali si baserà la sua nuova politica spaziale che va appunto nella direzione del “dominio”.
Questi principi possono essere così riassunti:
1) volontà di impedire l’accesso allo spazio ai nemici degli Stati Uniti;
2) determinazione affinché nessuno possa ostruire le loro operazioni celesti;
3) mantenimento della leadership tecnologica (necessaria sia per il perseguimento del punto uno che due).
Washington, in altre parole, vuole “governare” questo teatro strategico chiamato spazio impedendo, per quanto possibile, che potenze ostili vi si possano introdurre. Per capire meglio di cosa si sta parlando, conviene fare un piccolo parallelismo: come in passato vi era il “dominio dei cieli”, in futuro vi sarà il “dominio dello spazio” (e come ancora prima, andando all’epoca pre-aerea, vi era il “dominio dei mari”). Una potenza, aiutata dall’avanzamento tecnologico, riesce a trasformare una barriera naturale in una piattaforma strategica attraverso la quale allargare la propria sfera di influenza e di conseguenza diminuire quella avversaria, impedendo poi a quest’ultima di entrare in questo teatro strategico, così da consolidare la propria egemonia o il proprio stato di forza relativa.
In passato i mari, come l’aria più recentemente, hanno avuto molteplici valenze tattiche e operative, e strategiche: essi potevano infatti essere utilizzati per arginare o circondare i nemici, ovvero per distruggerne le loro potenzialità militari, per accelerare i propri movimenti (logistica e manovra), per favorire i commerci e quindi la propria crescita economica, per avere migliori, maggiori e più veloci informazioni, etc.
In generale: tutti questi teatri sono storicamente serviti e così utilizzati per accrescere la forza della potenza che riusciva a governali, a scapito ovviamente degli avversari (anche se questo dominio non è mai durato in eterno).
Lo stesso, verosimilmente, varrà per lo spazio. Ciò suggerisce dunque che per ottenerne il controllo si assisterà ad una nuova applicazione del pensiero strategico clausewitziano: perchè a terra o nei cieli, nei mari o nello spazio, strategy is eternal (Colin S. Gray, 1999)
Il dominio dello spazio, o quanto meno il monopolio schumpeteriano che su di esso si potrà installare, avrà infatti un’importanza fondamentale per la politica mondiale. E poichè gli Stati prestano più attenzione ai guadagni relativi piuttosto che a quelli assoluti (come questo nuovo documento dimostra chiaramente; Grieco, 1990; Mastanduno, 1991) c’è da pensare che la cooperazione internazionale verrà accantonata per quella che verosimilmente sarà una nuova Power Politics, spaziale.
Per comprendere perchè lo spazio avrà tanta importanza (anche se, ripetiamo: lo spazio non sarà mai decisivo; nessun teatro, da solo, lo è mai stato, lo è o lo sarà) e quindi la ragione di questo probabile ma non sicuro scontro per la sua conquista, bastino due esempi: la rilevanza tattica, operativa e anche strategica del controllo del GPS. Le guerre in Iraq, Serbia, Kossovo, Afghanistan e ancora Iraq dicono solo una parte di questa storia. Il GPS viene usato quotidianamente per un’infinità di operazioni (tratte aeree, comunicazioni, etc.): impedire ad un avversario di accedere a questo sistema significa indebolirlo drasticamente. E’ quindi logico pensare che non tutti apprezzeranno la nuova politica americana: e in particolar modo tutte quelle potenze che guardano con un certo favore ad un indebolimento americano “relativo” (Layne, 1993 e 2006; Mastanduno, 1997; Waltz, 2000; Jervis, 2005; Walt, 2005).
In secondo luogo, vi è la questione delle risorse disponibili nell’universo e per le quali una nuova “corsa all’oro” potrebbe presto scatenarsi: si pensi al fatto che la sola Luna è piena di alluminio, titanio, ferro, calcio e silicio. Tutti non difficilimente utilizzabili, senza pensare poi ai vantaggi derivanti dalle esplorazioni spaziali in termini di conoscenza scientifica, ricaduta tecnologica, etc…
La revisione del documento assume dunque una notevole importanza non solo per la politica odierna ma soprattutto per quella di domani. Anche perché fa chiarezza sulla Grand Strategy americana: a pochi giorni dal test nucleare nordcoreano, e nel bel mezzo della Guerra al Terrorismo, la revisione appena effettuata suggerisce una certa cautela nel giudicare la politica estera di Washington. Senza eccedere in prolissità, questo documento confuta notevolmente le tesi secondo le quali la minaccia del futuro prossimo sarebbe rappresentata dal terrorismo internazionale: a meno che qualcuno non voglia sostenere che per battere il terrorismo siano necessarie delle sonde spaziali da miliardi di dollari.
In conclusione, il controllo dello spazio ha una enorme valenza strategica sia per le operazioni sulla Terra che per la politica spaziale di una qualunque potenza mondiale. Le due questioni sono collegate ma separate. Un domani, con più potenze spaziali, ognuna di essa cercherà tanto la primazia sulla Terra quanto nello Spazio, ma l’una non assicurerà l’altra. Oggi gli USA vogliono controllare anche lo spazio per garantire e rafforzare la loro forza globale. Ovviamente ciò avrà delle conseguenze: il fatto che gli Stati Uniti agiscano in questa maniera si rifletterà infatti sul comportamento delle altre potenze mondiali, soprattutto alla luce del fatto che lo spazio è, secondo il diritto internazionale, terra nullis: risorsa a disposizione di tutti e non occupabile. Sicuramente non monopolizzabile.
Ciò, dunque, può portare al rafforzamento della tendenza a cui stiamo già assistendo e consistente nella creazione di un’alleanza che bilanci gli Stati Uniti. Nella politica stellare, invece, una volta emerse altre potenze “celesti” (fatto che difficilmente si può mettere in discussione: la Gran Bretagna ha per caso ancora il dominio dei mari?), si assisterà ad una dura lotta per la conquista dello Spazio. Tutta geopolitica e politica di potenza. Anzi astropolitica.
Sembra fantascienza. Purtroppo non lo è.
Appendix
Il documento ci pone di fronte ad un problema che sia la teoria che il dibattito pubblico ha toccato solo relativamente: il significato strategico dello spazio. Anche in questo caso non vogliamo eccedere in parole. Ci sembra però necessario riprendere i punti fondamentali di un saggio uscito alcuni anni fa e ancora oggi attuale: Everett C. Dolman, Geostrategy in the Space Age: An Astropolitical Analysis, in Colin S. Gray and Geoffrey Sloan, Geopolitics: Geography and Strategy (London: Frank Cass Publishers, 1999).
Secondo Dolman, lo spazio può essere diviso in quattro regioni astropolitiche:
1) la Terra, compresa l’atmosfera dalla superficie terrestre fino alla altitutine più bassa in grado di sostenere un’orbita;
2) lo Spazio terrestre, ovvero dal punto in cui finisce l’area delimitante il pianeta Terra fino all’altitudine geostazionaria (36.000 km). Questa regione è quella nella quale operano le sonde e i satelliti militari e civili;
3) lo Spazio lunare, la regione che segue l’orbita geostazionaria fino all’orbita lunare;
4) lo Spazio solare, ovvero tutto ciò che si trova nel sistema solare oltre l’orbita della Luna. Questa è quella meno esplorata, fino ad ora, e probabilmente quella sulla quale si concentreranno le prossime esplorazioni.
Riprendendo il pensiero mackendiriano, si può assimilare lo Spazio solare all’Heartland. E quindi lo Spazio terrestre all’Est Europa: il controllo di quest’ultimo, riprendendo proprio le parole del famoso geografo britannico, permetterebbe dunque il controllo del resto dello Spazio. Con un’aggiunta: consentirebbe anche un enorme vantaggio strategico, operativo e tattico nei campi di battaglia terrestri.
A ciò va poi aggiunta una considerazione mahaniana: relativa cioè ai punti fondamentali per il controllo dello spazio. Come il geopolitico americano rilevò a inizio del Novecento, la Gran Bretagna aveva ottenuto il controllo dei mari semplicemente riuscendo a prendere possesso di alcuni punti nodali. Lo stesso, secondo Dolman, vale nello spazio: dove sarà fondamentale il controllo di alcuni punti critici. Il più importante di questi è sicuramente rappresentato dall’Orbita terrestre inferiore, quella nella quale si trovano la maggior parte dei satelliti.
E’ poi ancora necessaria una considerazione douhettiana: come il famoso aeronautico italiano aveva intuito, il potere aereo aveva un limite intrinseco, la presenza di basi che potessero renderlo disponibile. Anche in questo caso, la stessa considerazione vale nello Spazio, dove le “portaeree” sono rappresentate dai punti di Librazione di Lagrance, cinque posizioni nelle quali gli effetti gravitazionali contrapposti della Terra e della Luna permettono ad un oggetto di rimanere permanentemente stabile in orbita. Appunto, una “portaerei” spaziale.
E infine una considerazione terrestre: per operare nello Spazio è necessario arrivarci. E’ cioè necessario operare da posizioni di lancio ottimali. Queste sono rappresentate dalla costa nord del Brasile, dalla costa est del Kenya, e da qualunque isola del Pacifico ad est della Nuova Guinea, mentre per i satelliti esse sono il nord della Siberia, la costa est della Groenlandia, il nord del Canada e l’Alaska. Per poter far funzionare al meglio la rete satellitare, e’ pero’ necessario disporre anche di almeno quattro ricettori sparsi per il mondo: non a caso gli USA tengono delle postazioni in Spagna e in Australia.
Tutte queste posizioni e postazioni, in cielo o in Terra, vanno conquistate. This is geopolitics.
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