Le rappresaglie di Trump, la stretta fiscale, l’aumento dei tassi della banca centrale e l’inflazione: troppi guai
di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Nel terzo trimestre di quest’anno, l’economia turca ha subito una marcata contrazione, pari a 1,1% sul trimestre precedente, che porta la crescita annua ad un esile 1,6%. Il settore delle costruzioni è stato particolarmente colpito, con ridimensionamento trimestrale del 5,3%, mentre i consumi domestici sono cresciuti solo di 1,1%, contro il 6,4% del trimestre precedente.
Il motivo della violenta frenata dell’economia turca, che si avvia ad entrare in recessione, è riconducibile alla stretta monetaria adottata dalla banca centrale dopo la crisi valutaria della scorsa estate, quando la lira giunse a deprezzarsi di quasi il 50% contro dollaro, dopo le sanzioni imposte dall’Amministrazione Trump per ottenere il rilascio di un pastore evangelico arrestato dai turchi due anni prima. Quello fu il catalizzatore della resa dei conti per un paese a cui il presidente Recep Tayyip Erdogan ha somministrato forti stimoli fiscali, per comprare consenso, mentre forzava la banca centrale ad astenersi dal contrastare il surriscaldamento dell’economia.
Dopo la crisi di agosto, il governo turco è stato costretto a porre dei freni, attuando una stretta fiscale, mentre la banca centrale a settembre ha alzato i tassi di 625 punti base, portandoli al 24%. A ottobre, l’inflazione ha toccato un picco al 25%, massimo degli ultimi 15 anni, mentre il saldo delle partite correnti, a causa della distruzione di domanda causato dalla stretta, si è portato in avanzo mensile: un dato eclatante, per un paese caratterizzato da forti sbilanci nei conti con l’estero, prodotti dalla pressoché totale dipendenza energetica ma anche dal surriscaldamento dell’economia, voluto da Erdogan.
Il lieve raffreddamento dell’inflazione, scesa a novembre al 22%, non è stato sufficiente a convincere la banca centrale a ridurre i tassi, nella riunione della scorsa settimana. L’istituto di emissione turco deve ricostruire la propria credibilità, fortemente danneggiata dopo aver ceduto alle pressioni di Erdogan, ed è quindi verosimile attendersi il mantenimento di condizioni monetarie restrittive per i mesi a venire.
Nel quarto trimestre la contrazione dell’economia dovrebbe essersi accentuata, portando il paese ufficialmente in recessione, la prima da quasi un decennio; per il 2019 le stime del Pil vanno dalla contrazione dello 0,5%, prevista dall’Ocse, a quella del 2% indicata da Moody’s, mentre il governo di Ankara resta fermo ad una improbabile previsione di crescita del 2,3%.
Nel frattempo, il tasso di approvazione di Erdogan è sceso sotto il 40%, minimo da tre anni e mezzo, mentre quasi un turco su due ne disapprova l’operato. Il prossimo 31 marzo si terranno importanti elezioni locali. Il partito del presidente punta a conservare la poltrona di sindaco di Istanbul, Ankara ed altri grandi centri, ma potrebbe giungere all’appuntamento in piena recessione e con forti malumori dell’elettorato. Un test impegnativo, per l’autocrate che scelse di drogare la crescita.
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