di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Lo scorso 26 aprile la camera bassa brasiliana ha approvato un fondamentale pacchetto di riforme del mercato del lavoro. Si tratta di uno dei pilastri della presidenza di Michel Temer, succeduto da circa un anno a Dilma Rousseff, dopo l’impeachment di quest’ultima. Il pacchetto modifica il corpus della legislazione lavoristica, che resisteva dagli anni Quaranta.
Tra i suoi capisaldi vi è la prevalenza degli accordi tra imprese e lavoratori rispetto alla legislazione nazionale e l’eliminazione dell’obbligo di destinare un giorno di salario al finanziamento del sindacato. Saranno inoltre consentiti turni di lavoro di 12 ore, in luogo delle attuali otto, e pause pranzo di 30 minuti rispetto all’obbligo legale di un’ora. Il testo di legge stabilisce anche salvaguardie per i lavoratori: ad esempio, è vietato riassumere come interinale un lavoratore appena licenziato dalla stessa impresa; occorrerà inoltre una “quarantena” di 18 mesi prima di essere assunti in un regime contrattuale differente da quello in cui si operava. Questa tutela è stata inserita per bilanciare la forte liberalizzazione del lavoro interinale, approvata settimane addietro e che appare funzionale a disarticolare il sistema di relazioni industriali del paese.
Obiettivo di questa riforma è soprattutto quello di deflazionare il pesante contenzioso legale relativo al lavoro e spingere la produttività, ma assai più verosimilmente abbattere il costo del lavoro decentrando il più possibile a livello di azienda la contrattazione collettiva. Altra grande riforma della presidenza Temer è quella delle pensioni, che ha rango costituzionale e pertanto necessita di tre quinti dei voti (pari a 308) nella Camera Bassa, di cui tuttavia l’attuale maggioranza pare non disporre. Qui obiettivo è innalzare l’età pensionabile a 65 anni, contro l’attuale media di pensionamento a 54 anni, nel tentativo di comprimere la spesa pubblica per pensioni, del tutto disallineata dalla media internazionale, e dare compimento al principio (costituzionalizzato da Temer) di mantenere una crescita annua reale della spesa pubblica, cioè al netto dell’inflazione, pari a zero per il prossimo ventennio.
La reazione a queste riforme è stato il primo sciopero generale degli ultimi 31 anni, lo scorso 28 aprile, con momenti di forte tensione. Dopo gli anni della spesa pubblica pro-ciclica della Rousseff, sulla coda del boom delle materie prime che aveva permesso all’ex presidente Lula di compiere un “miracolo sociale”, togliendo dalla povertà vasti strati della popolazione, il non eletto Temer, costantemente lambito dall’onda del più gigantesco scandalo di corruzione della storia brasiliana recente e che ha travolto lo stesso Lula, tenta di porre rimedio ad una crisi fiscale esacerbata dalla profonda e perdurante recessione del paese.
Mentre nei paesi sviluppati si discute di alternative al cosiddetto neo-liberismo, il Brasile scopre la dura necessità dei conti pubblici in ordine e delle compatibilità finanziarie.
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