Ma lo capirete quando sarà tardi
di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
I mercati finanziari sono tornati sotto pressione, in quella che pare essere una costante: tentativi di recupero intervallati da esplosioni di avversione al rischio. I catalizzatori di queste fasi si avvicendano, con ripetitività esasperante: la Cina, la Federal Reserve e i tassi americani, le tensioni in Eurozona, il referendum sulla Brexit. Il mondo galleggia sulla liquidità ma le stime di crescita globale tendono ad essere riviste al ribasso, ormai da molti trimestri a questa parte.
Persino gli Stati Uniti, che i libri di testo considerano il modello di economia chiusa, nel senso di ampiamente autosufficiente, hanno scoperto di essere vulnerabili agli sviluppi economici globali. La Fed di Janet Yellen, che pare avere una voglia matta di alzare i tassi per tornare alla “normalità” dei tempi che furono, ha scoperto che la “nuova normale” pare invece essere quella di tassi d’interesse molto più bassi che in passato, in termini nominali e reali.
Il grande esperimento reflazionista del Giappone è fallito miseramente, lo yen risponde come ha sempre risposto durante le fasi di avversione al rischio: rafforzandosi e mettendo sotto pressione i conti delle sue aziende esportatrici. Le interconnessioni globali, riassunte nella mobilità dei flussi di capitale che tanto hanno contribuito alla crescita degli ultimi lustri, si sono trasformate in formidabili agenti di resistenza ad aspirazioni e disegni dei leader politici, anche di quelli un tempo in grado di plasmare con le loro iniziative i destini del mondo.
Viviamo nell’era della Grande Frustrazione: lo scarto tra la visione politica e la realtà. Questo stato d’animo alimenta la reazione volta a riappropriarsi localmente di una parvenza di autodeterminazione, mediante utilizzo di una comunicazione politica ipersemplificata, dove non esistono più vincoli e compatibilità ed il mondo reale è rimosso a favore di quello ideale.
Siamo sempre più prossimi a quella che definiremmo l’Era della Deconvergenza, in reazione alla convergenza indotta da globalizzazione e primato delle strutture sovranazionali, che ha finito per indurre un senso di permanente precarietà e sradicamento. In Europa tale sindrome appare ai massimi livelli: i sostenitori della Brexit promettono il controllo dell’immigrazione, inclusa quella di cittadini europei, ma anche mirabilie di libero scambio per i loro beni e servizi: che è un modo divorziato dalla realtà per essere al contempo protezionisti e liberoscambisti, à la carte. In Ungheria e Polonia, paesi che hanno enormemente beneficiato di globalizzazione ed adesione alla Ue grazie ad investimenti diretti esteri e fondi di sviluppo, vincono le piattaforme elettorali costruite al grido “fermiamo lo straniero”: non solo l’immigrato ma anche la multinazionale.
L’autodeterminazione di popoli più o meno informati è sacrosanta, ma l’inerzia del sistema globalizzato innalza grandemente i costi del cambiamento. Alla fine, in molti scopriranno l’ovvio: la democrazia non è un pasto gratis.
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