Di navi, cavalli e baionette

di Andrea Gilli

Il terzo dibattito presidenziale di lunedì scorso non verrà ricordato per aver spostato dei voti ma, più verosimilmente, per alcune battute ben assestate, soprattutto dall’attuale presidente degli Stati Uniti, Barack H. Obama.

Una in particolare è andata viral lunedì scorso su Twitter e Facebook. Di fronte all’affermazione di Romney per cui gli Stati Uniti oggi avrebbero meno navi che nel 1915, Obama ha risposto dicendo che le forze armate USA non hanno più né cavalli né baionette, eppure ciò non significa che siano più deboli.

Anche se, televisivamente, la battuta di Obama è certamente ben riuscita, questa, come l’iniziale affermazione di Romney, solleva diversi dubbi sulla reale competenza dei due sfidanti in questioni militari.

Partiamo da Romney. La sua affermazione è, letteralmente, senza senso, almeno per come è stata posta. Se misuriamo il potere navale mondiale sulla base del numero di navi, la prima potenza al mondo è la Cina. Siamo dunque in un’era dominata dalla potenza navale cinese e nessuno se n’è accorto? No. Perché il numero di navi da guerra, per sé, è poco indicativo. Se guardiamo per esempio al tonnellaggio delle rispettive marine militari a livello internazionale il quadro è abbastanza chiaro:

“At the height of its naval dominance, England strove to achieve at least a “two-navy standard.” That is, British naval planners aimed to maintain a navy that was as large as the combined fleets of the closest two naval powers. In terms of aggregate warship tonnage, then, the United States enjoys a “17-navy standard.” Indeed, at 94 percent of the total aggregate ROW tonnage, the U.S. war fleet displaces nearly as much as all other warships in the world’s navies, combined.” (Robert O. Work, 2005: 67)

Misurare il potere navale a livello internazionale è difficile. Computare nell’equazione fattori fondamentali quali le diverse tattiche, dottrine, l’addestramento, il capitale umano, senza contare la qualità degli armamenti, è un’operazione estremamente complicata. Il dato di fondo, però, è incontrovertibile: gli Stati Uniti sono leader indiscussi in tutte queste aree e di conseguenza il loro potere navale è incontrastato a livello mondiale (Work, 2007), anche se hanno meno navi che nel 1915.

Ha ragione Obama, dunque? Dalla sua risposta, direi proprio di no. In primo luogo, le forze armate USA impiegano ancora tanto i cavalli che le baionette. Quindi, fattualmente, Obama ha torto. Il problema è un altro. Lasciamo perdere che i sottomarini sono stati inventati nel 1901 (almeno se guardiamo al primo disegno industriale affidabile, quello di Holland) e le portaerei poco dopo la prima guerra mondiale. Il punto centrale è un altro. Stiamo attraversando una fase di transizione geopolitica e tecnologica. Non solo la Cina sta crescendo militarmente, ma la modernizzazione delle sue forze armate passa anche attraverso lo sfruttamento di nuove tecnologie e dottrine militari. E’ quindi di vitale importanza capire se gli Stati Uniti sono in grado di gestire questa transizione.

Finora, l‘amministrazione Obama ha ridotto il tasso di produzione di portaerei, il principale strumento di proiezione di potenza al mondo (Cote, 2006). Parallelamente, la flotta militare americana è costantemente diminuita negli ultimi anni mentre i suoi compiti sono aumentati, portando così a non pochi problemi e disfunzioni. Dall’altra parte, il ribalanciamento geopolitico verso l’Asia Orientale, insieme alla nuova strategia militare, l’Air-Sea Battle, cercano di mantenere la supremazia militare americana invariata.

In definitiva, Romney ha ragione nel chiedere una US Navy più grande, almeno se gli USA vogliono affrontare i compiti che si sono dati. Il problema è che non spiega come finanziare quelle spese. Obama presenta un piano di bilancio più credibile, che però accetta il declino militare americano, US Navy inclusa, e quindi le sue implicazioni sulla sicurezza internazionale.


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