Più offerta nel mercato degli aerei da combattimento?

di Andrea Gilli

Il Giappone è un grande Paese, è ricco ed è avanzato: sul suo territorio ci sono alcune delle aziende più avanzate al mondo come Sony, NEC, Mitsubishi, etc. Durante gli anni Ottanta, il Giappone era considerato il modello da imitare. Poi è venuta la crisi immobiliare e le cose sono cambiate. Per molti, però, il Giappone rimane un modello da seguire.

Quando qualcuno mi avanza questa tesi, di solito ripropongo l’idea del mini-disk Sony. Qualcuno lo ricorda? Probabilmente no, ma la storia è semplice: nella seconda metà degli anni Novanta, per ascoltare musica portatile c’erano i walkman, i mangiacassette. Questi avevano un limite: le cassette non potevano contenere musica per più di 90/120 minuti e la loro autonomia era limitata. I lettori CD portatili cercarono di offrire una soluzione, ma questa fu solo molto parziale. La Sony uscì così con il mini-disk: un lettore CD delle dimensioni di un walkman che leggeva CD “mini”. Fu un tentativo di quadrare il cerchio. E fu un flop colossale.

Senza discutere più a lungo, la Sony non realizzò che una tale idea richiedeva il sostegno di un ecosistema industriale: i clienti dovevano avere un dispositivo per trasferire la musica nel mini-cd, i negozi di hi-fi dovevano fare spazio al nuovo prodotto, i fornitori dovevano essere in grado di ripagarli e l’industria musicale doveva stampare i propri dischi nella nuova versione “mini”, mentre i negozi di musica dovevano aggiungere un nuovo prodotto. Tutto ciò doveva avvenire per una sola azienda, visto che il mini-cd era proprietà unica della Sony. Detto più facilmente, l’intuizione “semplice” della Sony era che tutto il mondo doveva cambiare intorno al suo Mini-Disk. Nessun si sorprenda, questa visione tolemaica dell’industria musicale fu una catastrofe.

L’errore più grande, però, fu un altro: Sony non capì le possibilità che la rivoluzione digitale stava offrendo. Sony ragionò in maniera lineare, pensando che l’industria avrebbe continuato a progredire sui binari esistenti, offrendo CD sempre più piccoli e in grado di contenere maggiore memoria. Come siano giunti ad una tale idea non è chiaro, visto che il predecessore del CD, la cassetta musicale, non era chiaramente un suo parente, e neppure questa aveva la minima relazione con il classico LP. Ma tralasciamo.

Le nuove frontiere tecnologiche, proprio mentre Sony lanciava il Mini-Disk, stavano aprendo la strada ad un radicale cambiamento dell’industria su metriche differenti. Ecco come mai, mentre Sony perdeva miliardi di dollari con il mini-disk, la Apple risuscitava con l’iPod, di fatto uccidendo i CD, i walkman, le cassette e anche l’industria musicale. Non uccise il mini-disk Sony, solo perché questo era nato già morto.

Ho fatto questa lunga parentesi perchè mi è tornato in mente il mini-disk leggendo, su AOL Defense, che il Giappone vorrebbe entrare nel mercato degli aerei da combattimento. Se tanto mi dà tanto, il rischio è di fare lo stesso flop.

AOL Defense giustamente nota le difficoltà politiche di una tale manovra: a meno di non voler vendere alla Cina o alla Russia, i possibili clienti del Giappone non sarebbero esattamente moltissimi: Indonesia, Singapore, Thailandia, Taiwan e Myanmar.

Non sono sicuro che però questo sia l’unico problema. In primo luogo, la storia dei più recenti aerei da combattimento, sia l’F-35 che l’F-22, sembra suggerire che siamo arrivati vicino ad un punto di saturazione tecnologica: l’incremento marginale delle loro capacità militari può avvenire oramai solo con drammatici incrementi marginali dei costi. Negli anni Novanta, il mercato dei lettori musicali portabili progrediva lentamente: la competizione teneva fermi i prezzi, e dunque gli incrementi tecnologici erano millimetrici. Poiché nel mercato degli aerei da combattimento il costo e la competizione hanno un valore differente, gli attori cercano di massimizzare gli sviluppi tecnici, con conseguenze drammatiche però sui bilanci statali. Qualche numero può bastare. L’F-22, a seconda delle stime, costa 300 milioni di dollari a pezzo, 600 se si includono i costi di ricerca e sviluppo. L’F-35 costerà 150 milioni di dollari a pezzo, probabilmente senza R&D. Per capirsi, l’F-22 non ha mai svolto una missione militare: è troppo avanzato. Chiaro? E’ talmente imbattibile che di fatto si sconfigge da solo. D’altronde, perché prendere la Ferrari, per andare a fare la spesa? Non solo: le capacità tecniche dell’F-22 sono talmente avanzate che il sistema fa corto circuito. Lo scorso anno tutta la flotta di F-22 è rimasta a terra per un problema al sistema di ossigenazione dei piloti. L’F-35 sta incontrando problemi analoghi. Questi problemi verranno risolti, ma sono indicativi: per aumentare le capacità del mezzo sono necessari sforzi enormi, probabilmente superflui visto che radar, missili guidati, difese anti-aeree hanno già cambiato il combattimento aereo da diverso tempo. La domanda è dunque se quelle capacità marginali aggiuntive siano davvero necessarie. Poiché l’F-22 non è mai stato impiegato, qualche dubbio è lecito.

Qui torniamo al mini-disk della Sony. Il modello dei programmi militari decennali, dai budget impressionanti, sta finendo o, quanto meno, è destinato a finire in molti segmenti del business e per molti Paesi (Europa inclusa). Il Giappone è interessato ad entrare invece in questo mercato, sperando forse di proporre una soluzione tecnologica che offra dei validi compromessi tra costi e qualità. Il rischio – credo – è però proprio quello di uscirsene con la versione mini-disk degli aerei da combattimento. Nel 1990, la musica girava sui CD. Ora gira in rete, tramite iTunes, Amazon, etc. Negli affari militari è in corso un’analoga rivoluzione industriale: la disponibilità di aerei senza pilota, missili a lunga gittata di precisione, sensori, e sistemi di comunicazione avanzati riduce la necessità di fare affidamento unicamente su aerei da combattimento per la propria sicurezza nazionale. Nessuno sa ancora quale sarà la traiettoria dell’industria, ma non sono sicuro che il Giappone abbia le idee chiarissime.

Qui veniamo ai due problemi ausiliari. Da una parte, il mercato degli aerei da combattimento è già molto popolato nel segmento 4.5° e 5° generazione, e visti i costi unitari dei vari programmi, la torta non può che rimanere limitata: Eurofighter, Rafale, F-16, F-35, Sukhoi-30, J-20, F-18 Super Hornet, PAK FA, JAS-39 Gripen, a cui vanno aggiunti, verosimilmente, gli aerei che Brasile, India e Corea potrebbero iniziare a produrre nei prossimi anni. Vedremo cosa farà l’Europa in futuro sulla 5° generazione, ma il dato non cambia: il mercato può anche essere dato in espansione, in termini monetari, ma in termini di unità produttive non può che ridursi, visto che i bilanci militari in ogni caso non crescono abbastanza quanto l’inflazione (o calano, come in Europa).

C’è dunque un mercato molto affollato, e il Giappone sembra intenzionato ad entrarvi. Un po’ come pensare di sfidare Apple e Samsung sui tablet in questo momento storico, con la differenza che alla competizione economica si somma quella geopolitica. A me pare una follia a meno che il Giappone non riesca, come detto, a trovare una soluzione del tipo Ryanair, che mi pare difficile.

C’è poi una seconda questione: con i prezzi degli aerei da combattimento in ascesa verticale, molti Paesi, specie quelli più piccoli, dovranno affrontare un chiaro trade-off. O comprare pochissimi aerei dalle capacità impressionanti, o avere una flotta più vasta con capacità buone ma non al limite della frontiera tecnologica. La mia scommessa è che questi preferiranno la seconda opzione. D’altronde i vini nel cartoccio dominano il mercato del vino, non Chateau Pétrus. Così nel mercato degli aerei da combattimento è facile pensare che saranno le soluzioni che offrono un buon compromesso tra qualità e prezzo ad avere un futuro.

Non ci vuole molta fantasia. La gran parte dei Paesi del mondo non si trova di fronte minacce militari di primario livello. L’India, il Brasile, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi stanno rinnovando le loro flotte con aerei “vecchi”: F-16, F-18, Eurofighter, Rafale. D’altronde, i loro potenziali nemici non hanno di meglio.

In definitiva, o il Giappone riesce a produrre un aereo di 5° generazione on the cheap (come la brasiliana Embraer vorrebbe diventare nel settore degli aerei civili). Oppure rischia di fare un gran buco nell’acqua.

Qualcuno si ricorda il Mini-Disk Sony?

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7 risposte a “Più offerta nel mercato degli aerei da combattimento?”

  1. Avatar Michele
    Michele

    Gentile dott. Gilli, mi permetto di avanzare alcune considerazioni sul suo articolo.

    Premesso che la faccenda della 5^ generazione non è altro che uno spot commerciale di Lockeed, al punto che visto che i conti palesemente non tornavano hanno invetato la 4,5^(!), il motivo per cui il Giappone sta pensando di sviluppare un prorpio aereo è molto semplicemente che non ha ottenuto l’ F-22 e, almeno in prospettiva, le relative tecnologie dagli USA.
    L’errore di fondo sta nel rapportare un’intrapresa economica (sony mini-disk) ad una questione strategica. Il Giappone d’altro canto non ha alcuna prospettiva a breve/medio termine di esportre sitemi di difesa completi, quindi…
    In prospettiva il Giappone avrà invece come dirimpettaio niente meno che la Cina!! la quale non sta certo lesinando soldi e la stessa Russia che con i soldi indiani si sta facendo il suo nuovo aereo.

    Sul fatto poi che la tecnologia abbia stravolto i fattori tecnico/operativi della guerra aerea ci andrei con i piedi di piombo.. la stessa cosa si diceva alla fine degli anni ’60 all’apparire dei primi missili (guidati).
    La smania tecnologica porta proprio nel vicolo cieco di aerei sempre più costosi, complessi e difficili da gestire senza alcun miglioramento operativo.

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    1. Avatar Andrea Gilli
      Andrea Gilli

      Il tentativo giapponese di entrare nel mercato dei caccia avrà successo solo se ci sarà dell’export. Senza export, li Paese si sobbarcherà dei costi enormi per un aereo probabilmente di mediocre qualità. Di qui il paragone con il mini-disk.

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      1. Avatar Michele
        Michele

        Mi perdoni ma il punto è che non c’è nessun tentativo, al momento, del Giappone di entrare nel mercato degli aerei da combattimento!
        L’ultimo aereo prodotto in Giappone, l’F2 (un sorta di F16 ingrandito) è stato prodotto in piccoli numeri a costi altissimi solo per il le forze aeree giapponesi. Per il Giappone il problema non è affatto di guadagnarci in senso economico ma di garantirsi capacità di autodifesa e indipendenza tecnologica.

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      2. Avatar Andrea Gilli
        Andrea Gilli

        Ora non c’è un aereo. Il Giappone contempla però l’opportunità di svilupparlo. Money quote da AOL Defense:

        It certainly is no secret that Japan has been actively pursuing an indigenous NGEN fighter in parallel with its efforts to import them from the United States or Europe. Japan has publicly contracted Mitsubishi Heavy Industries (MHI) to lay the foundation for this fighter under the Advanced Technology Demonstrator (ATD-X) project.

        Mitsubishi Heavy Industries (MHI) recently announced it has begun assembling a full-scale ATD-X fighter test model. While this marks an important milestone in Japan’s efforts to produce its own NGEN fighter, the program still has a long way to go, including overcoming some major technical hurdles.

        Che poi lo sviluppi effettivamente è un altro discorso.

        Sulla questione difesa-indipendenza: certo. Ma perchè l’aereo sia efficace e quindi assicuri la sicurezza del Paese questo deve essere anche efficiente (nel senso della produzione). Con i costi di produzione degli aerei da combattimento moderni, l’unico modo per avere un aereo a costi gestibili è 1) esportarlo 2) produrlo in cooperazione. Se per avere un aereo moderno ed essere poi indipendneti si va in bancarotta allora conviene non essere indipendenti. Spero di essere stato più chiaro.

        grazie ancora, ag.

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      3. Avatar Michele
        Michele

        Mi perdoni ancora e poi chiudo.
        Voglio solo chiarire che nel mio post precedente dove dicevo che al momento il Giappone non ha nessun intenzione di entrare nel mercato degli aerei da combattimento intendevo dire che il Giappone, come sappiamo, per vari motivi, non esporta materiale per la difesa. L’eventuale decisone circa l’ ATD-X non è affatto condizionata dalla eventuale esportazione dello stesso. Non intendevo dubitare del fatto che il Giappone stesse pensando a tali sviluppi. Esiste anzi già un modello in scala per vari tipi di prove.
        Ultima chiosa: in Giappone la produzione di armamenti non è mia stata nemmeno lontanamete efficiente! ma certo non escludo che la politica giapponese in materia possa cambiare.
        Saluti e grazie

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      4. Avatar Andrea Gilli
        Andrea Gilli

        Credo che stiamo dicendo la stessa cosa 🙂

        Riformulo altrimenti.

        Quando un paese formula la sua strategia di difesa procede fondamentalmente in due modi:

        1) si determinano le quantità, e poi si stanziano i fondi.
        2) si stanziano i fondi, e poi si determinano le quantità.

        Per via della globalizzazione, etc. i costi degli armamenti hanno raggiunto livelli stratosferici. Ragioniamo su quanto detto sopra: se un Paese sviluppa autonomamente un programma estremamente costoso, questo incorre in due rischi:

        1) o compra N pezzi quanti ritiene necessari di quel programma, ma poi riduce inevitabilmente i fondi per tutti gli altri programmi. Quindi il Giappone compra 200 aerei ma poi compra solo 4 navi e 5 carri armati.
        2) oppure compra N mezzi quanti è possibile con il bilancio attuale per quella voce, dato il prezzo di N, p(N) Y: Y/p(N). Se p(N) cresce enormemente, allora N sarà molto piccolo. Quindi il Giappone comprerà 15 aerei a 500 milioni di euro l’uno.

        Chiaramente, nessuna delle due strategie è molto solida: la prima indebolirebbe le altre colonne della struttura di difesa, la seconda soluzione concentrerebbe in pochissime unità tutto il nuovo programma.

        Il Paese in oggetto ha quindi due strategie industriali-commerciali per risolvere il problem: se adotta 1, può cercare di cooperare su tutti gli altri programmi così da ottenere risparmi oppure di aumentare l’export militare e potersi permettere il rpogramma in oggetto. E’ quanto ha fatto la francia con il suo deterrente nucleare.

        Se invece adotta la strategia 2, la sua strategia commerciale-industriale deve inevitabilmente mirare a sviluppare il programma in cooperazione o ad esportarlo all’estero.

        Poichè l’opzione 2 coglie meglio la realtà, partivo implicitamente da questa e notavo che la strategia commerciale-industriale relativa è molto rischiosa, in quanto il mercato in oggetto è già molto affollato.

        Saluti, ag.

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  2. Avatar Alessandro Capocaccia
    Alessandro Capocaccia

    Andrea, mi sorprende (ma forse mi sfugge qualcosa) la mancanza di un paragone tra la (presunta) politica giapponese e quella cinese.
    La maturità tecnologica raggiunta in Cina in campo aerospaziale negli ultimi 20 anni è, sebbene oscura, sicuramente degna di attenzione. Non c’è infatti alcun dubbio che USA e lo stesso Giappone tengano sicuramente in gran conto gli avanzamenti dell’industria di Pechino; probabilmente il J-20 è l’aereo più spiato/analizzato/chiacchierato al mondo dopo il JSF.
    Ciò premesso, il paragone tra le capacità dei due paesi asiatici mi sembra spontaneo. Entrambi hanno una vocazione all’autonomia militare e all’export; entrambi vivono in una posizione geopolitica delicata; entrambi hanno prodotto in passato caccia basandosi su design stranieri (il J-11 sul Su-27; i vari Mitsubishi su F-16, F-15 e F-4). Il Giappone ha però scelto di comprare la sua 5a generazione dall’estero, il JSF, senza particolari ritorni tecnologici per la sua industria (personalmente non ne vedo per la nostra ergo il semplice assemblaggio da parte di Mitsubishi mi sembra ben poca cosa).
    Arrivo al punto: il mercato è affollato, dici bene, ma volontà, investimenti (e un po’ di spionaggio) non stanno impedendo alla Cina di provare ad entrarci e far così concorrenza ai Russi nel loro mercato di riferimento. Ciò che impedisce al Giappone di fare lo stesso non mi sembra perciò la tecnologia ma prettamente la politica: può un alleato degli USA fare – o solo pensare di fare – concorrenza interna ed esterna alla Boeing e alla Lockheed Martin? L’esperienza europea pare dire di no; l’Eurofighter è monco e i nostri piani per un mezzo di 5a generazione sono inesistenti anche perché la jointness ci impone il JSF con tutti i suoi difetti e incapacità. Il nostro futuro parla americano, con buona pace della FACO di Cameri; il futuro giapponese sembra rischiare la stessa fine per lo stesso motivo.

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