Hollande: l’euro non trema

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

La vittoria elettorale di François Hollande apre la via ad un riequilibrio interno all’Unione europea tra falchi dell’austerità immediata e colombe del gradualismo, ma non dovrà né potrà rimettere in discussione l’azione di consolidamento delle finanze pubbliche. Presto apparirà chiaro a tutti gli attori coinvolti che una vera rottura causerebbe tali e tanti problemi da mettere in ginocchio l’intera Eurozona. E visto che a Bruxelles e dintorni conservano ancora una residua capacità di fiutare l’aria, è molto probabile che dopo il prossimo Ecofin, a giorni, venga ufficializzato l’atteso rallentamento del passo di consolidamento fiscale, in modo tale da considerare le condizioni del ciclo economico. Viene da sorridere pensando che, se si fosse seguito un approccio più gradualista, ora non ci troveremmo con un intero continente prossimo alla morte per asfissia. Ma questi sono gli esiti, da ricondurre alla crescente angst tedesca di ritrovarsi ad essere il pagatore di tutto il conto comunitario.

Anche l’eventuale ricapitalizzazione della Banca europea degli investimenti (Bei), per cui si ipotizza un aumento di capitale di 10 miliardi di euro che potrebbe mobilizzare oltre un centinaio di miliardi di erogazioni, avrà un effetto più segnaletico che sostanziale, ma potrebbe contribuire ad una stabilizzazione del sentiment dei mercati sull’area. La Grecia resta prossima alla deflagrazione, ma la nuova coalizione potrebbe ricevere collante dalla rinegoziazione dei target fiscali concordati con la Troika. Senza voler difendere le falsificazioni contabili di Atene, è di tutta evidenza che il paese è stato raso al suolo da errori marchiani della Ue e della leadership tedesca, che hanno progressivamente assestato colpi sempre più violenti all’economia greca, a partire dalla originaria richiesta della Merkel e di Schaeuble di un coinvolgimento obbligatorio del settore privato nella ristrutturazione del debito sovrano.

Quella richiesta, riconosciuta tardivamente come errore, è stato il catalizzatore della destabilizzazione dell’intera Eurozona, e di quella i tedeschi porteranno le responsabilità nei libri di storia. Date le premesse, e la situazione drammatica del paese, l’esito elettorale appare anche troppo “moderato”. Paradossalmente ma non troppo, ai greci conviene lavorare con rinnovata lena su ulteriori strette di bilancio, perché quelle consentirebbero di raggiungere prima un avanzo primario di bilancio pubblico e in seguito dichiarare default e tentare di tornare alla dracma. Processo che comunque provocherebbe nuove devastazioni, oltre ad una più che probabile iperinflazione che sarebbe il brodo di coltura per nuovi estremismi e renderebbe il paese un buco nero (e forse uno stato fallito e canaglia) nel cuore dei Balcani.

Ma sono i francesi quelli che appaiono destinati a svegliarsi con una terribile emicrania post-elettorale. Un paese in cui la spesa pubblica (pur se di qualità incomparabilmente migliore di quella italiana) ha toccato il 56 per cento del Pil è un paese condannato a crescere a passo di carica, oppure a vedere i propri rating sbriciolarsi progressivamente, e destabilizzare nuovamente l’area. Qualsiasi ipotesi di patrimoniale addizionale o di aliquote Irpef da esproprio causerebbe imponenti deflussi di capitali. Per questo motivo è presumibile che Hollande percorrerà la strada delle concessioni simboliche, magari con la collaborazione delle élite tecnocratico-aziendali del paese.

Il sentiero è molto stretto e non consentirà diversioni fantasiose del tipo di quelle lette e sentite nel nostro paese, dove manifestazioni di ottuso provincialismo e crescente distacco dalla realtà tendono a ripetersi ad ogni elezione altrui. Serve attenuare la profondità di una recessione che volge a depressione per poter proseguire con riforme strutturali vere. Un’Europa che tendesse solo alla stabilizzazione verrebbe duramente punita dai mercati, dovendo fronteggiare la concorrenza asiatica e quella statunitense. Senza contare che non sarebbe comunque possibile frenare oltre il dovuto la Germania, che persegue (legittimamente) obiettivi di espansione e penetrazione commerciale nelle aree a maggiore crescita che finirebbero con l’infliggere nuove torsioni e tensioni all’Eurozona, fino al collasso finale. Il tutto ricordando che, dal prossimo anno, gli Stati Uniti rischiano una stretta fiscale “automatica” dell’ordine di 3-5 punti percentuali di Pil che, se non neutralizzata, sarebbe il detonatore finale dell’Eurozona, attraverso la recessione globale che implicherebbe.

Per questo l’elezione di François Hollande è solo una piccola finestra di opportunità in un quadro fortemente deteriorato e che rischia costantemente di esplodere, per mano dei mercati o degli elettorati. Chi si attende nuovi paradigmi di altermondialismo avrà un durissimo risveglio.
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Twitter: @Phastidio


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