La Strategic Defense Review inglese: un pasticcio all’italiana

di Andrea Gilli

Non è un film di Totò, ma siamo vicini. Portaerei senza aerei. Sottomarini nucleari senza missili nucleari. Per il momento non siamo ancora arrivati all’esercito senza soldati. Ma questi sono i principali risultati della SDR inglese – per quello che se ne sa, finora.

A questo punto, bisogna rispondere a due domande. Come si è arrivati a questo punto. Dove porteranno in futuro queste scelte.

Per capire come si faccia a programmare la costruzione di una portaerei e pianificare di lasciarla priva di aerei per dieci anni è necessario guardare alle scelte compiute in passato dal Regno Unito e al contesto in cui esse sono avvenute.

Tre dinamiche, mi pare, spiegano questa situazione paradossale. Da una parte, c’è il ruolo di lobby e interessi costituiti vari che dirottano la spesa della difesa. Non è una peculiarità nè inglese, nè italiana, ma direi generale (Sapolsky and Gholz, 1999). Basti dire che sia Italia, che Francia che UK hanno deciso di costruire le loro ultime portaeree in tronconi così da assicurare abbastanza lavoro a tutti i cantieri. Ciò ovviamente consuma soldi e tempo. E in tempi di vacche magre, queste scelte si fanno sentire. Allo stesso modo, il Regno Unito è uscito dai programmi di cooperazione europea Horizon, Boxer e Trimilsat per lo più per via della pressione delle sue lobby internet.

Dall’altra parte, c’è la crescita dei costi degli armamenti (in media dell’8-9% l’anno). Crescita che si contrappone a bilanci della difesa nei casi migliori in leggero aumento, se non in calo. Questa crescita è da imputarsi sì agli sperperi di cui sopra, ma anche all’elevato contenuto tecnologico dei programmi più recenti.

Infine, vi sono le guerre in cui il Regno Unito è impegnato (Iraq e Afghanistan) e che hanno consumato molte risorse e hanno imposto di concentrare l’attenzione verso particolari programmi (MRAPs, UAVs) o voci di spesa (costi delle operazioni, veterani, etc).

In questo contesto, il Regno Unito aveva degli obiettivi e dei limiti oggettivi. Non si poteva cancellare la portaerei, nè si possono ridurre il numero dei sottomarini nucleari. Paradossalmente, dunque, nell’era della net-centric warfare, nella quale le capabilities sono più importanti delle piattaforme, il Ministero della Difesa britannico si è trovato a dover salvare le piattaforme e a risparmiare sulle capabilities – per evitare di finire senza piattaforme e senza capabilities. Tagliata dunque la versione STOVL dell’F-35B/Lightning II (l’aereo da imbarcare sulla portaerei e non ancora disponibile) e rimandato di 5 anni il missile nucleare Trident. Onestamente, era difficile fare di più.

E’ però proprio su questo punto che sta tutta la contraddizione europea. Pochi giorni fa, la Charles de Gualle francese è dovuta tornare in patria. Un problema a bordo ha costretto la portaerei a lasciare l’Oceano indiano. Così la Francia ora si trova senza poraerei disponibile. Con questa SDR, il Regno Unito ha deciso di disporre di una portaerei ma di non avere aerei da imbarcarvi sopra per un periodo pari a dieci anni. Un discorso analogo vale sul Trident: “abbiamo bisogno del deterrente nucleare”, dicono da Londra, salvo poi rimandarlo restando di fatto senza deterrente per un periodo che al momento non è ancora chiaro (probabilmente due o tre anni).

Quando è ora di sviluppare queste piattaforme, si dice che sono fondamentali per assicurare sovranità, sicurezza e indipendenza del Paese. In realtà, i fatti di questi giorni smentiscono questa versione dei fatti. Il problema è che i loro costi eccessivi rendono sempre più difficile un loro sviluppo indipendente. Le resistenze burocratiche, d’immagine, industriali e nazionalistiche rendono, dall’altra parte, impossibile la cooperazione in questi campi.

La storia è piena di casi di Paesi o Nazioni che, progressivamente, perdono il loro ruolo mondiale. Senza cooperazione in questo campo, non si va davvero da nessuna parte. Vedremo se questo sarà il destino dell’Europa.


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