di Mario Seminerio – Liberal Quotidiano
Giovedì scorso il parlamento spagnolo ha approvato per un solo voto di scarto il pacchetto di misure di correzione fiscale proposte dal governo Zapatero. Determinante è risultata l’astensione dei dieci membri di Convergència i Unió, un partito nazionalista catalano considerato di orientamento centrista-conservatore. Il leader di questo movimento ha tuttavia avvertito il premier Zapatero che voterà contro la legge di bilancio 2011, a fine anno. Il rischio di una caduta del governo spagnolo aumenta sensibilmente, ma questa rischia di essere solo la punta dell’iceberg, in un’Europa confusa e spaventata per quella che appare una crisi senza precedenti e soprattutto senza immediate vie d’uscita.
L’accumulazione di debito pubblico per salvare il settore privato (segnatamente le banche) in gran parte d’Europa negli ultimi due anni ha determinato la crescente diffidenza dei mercati circa la sostenibilità fiscale della costruzione europea, mentre il “salvataggio” della Grecia (che per molti osservatori è comunque destinata ad una qualche forma di default sul proprio debito) ed il successivo convulso e confuso intervento per “salvare l’euro” hanno evidenziato una drammatica carenza di coordinamento e leadership tra le istituzioni europee. Per primi sono stati i tedeschi a muoversi come un elefante nella cristalleria, dapprima opponendosi recisamente a qualsiasi salvataggio della Grecia, poi iniziando una martellante campagna di comunicazione basata sulla paura, al limite dell’isteria. Da ultimo, prendendo provvedimenti isolati e non concordati (come il divieto di vendite allo scoperto senza possedere il titolo sottostante) che si sono subito rivelati dannosi, perché hanno alimentato nel mercato la percezione che le autorità nazionali non solo non sappiano concretamente cosa fare, ma soprattutto che stiano tentando di occultare il reale stato dei propri sistemi bancari, appesantiti da crescenti volumi di crediti inesigibili e con un cuscinetto di capitale molto esiguo.
Dopo la drammatica notte del 10 maggio, in cui si è creduto di aver predisposto la difesa dell’euro ma si sono solo poste le basi per ulteriori problemi, i governi europei hanno deciso di tentare di mostrare ai mercati una volontà di rigore fiscale, per ridurre le tensioni. Tutto quello che è stato prodotto, sulla scorta della famosa “raccomandazione” a Portogallo e Spagna di ridurre di un altro 1,5 per cento solo quest’anno il rapporto deficit-Pil, è stato il varo di misure puramente emergenziali ed orientate esclusivamente alla cassa, disinteressandosi delle riforme di struttura. E’ il caso del governo italiano che, dopo aver annunciato che noi non avremmo avuto problemi, perché dotati di un settore privato non indebitato, ha varato in fretta e furia un provvedimento che risulta modesto sul piano quantitativo (lo 0,8 per cento del Pil nel 2011 ed altrettanto nel 2012) e dannoso su quello qualitativo, essendo composto di tagli lineari, di un’accentuazione del carattere derivato della finanza pubblica locale e che finirà col rinviare sine die alcune riforme di struttura, come quella della pubblica amministrazione.
Colpisce soprattutto la correzione maggiore rispetto alle stime di poche settimane addietro, che risponde al calo di gettito causato da una crescita che resta asfittica, e che purtroppo è destinata a restare tale ancora per molto tempo. Con tutta probabilità l’intenzione del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, era quella di rassicurare i mercati, dato l’imponente volume di titoli di stato in rinnovo quest’anno. L’effetto finale rischia di essere opposto, considerato che finora la manovra è mutata di giorno in giorno. A saldi invariati, le inevitabili diluizioni che accompagneranno il cammino della manovra costringeranno a cercare risorse altrove.
Gran parte delle misure sono di rinvio o congelamento di spese, poiché è evidente che la lotta all’evasione fiscale è quanto di più aleatorio esista, e non può essere quantificata ed iscritta a bilancio. I mercati hanno già iniziato a scontare questa incertezza, come dimostra il costante allargamento del credit default swap sull’Italia, oltre al differenziale di rendimento tra Btp e Bund, che sulla scadenza decennale è ormai di un punto e mezzo percentuale, con maggiore onere di interessi per le casse dello stato. Si comprende quindi come, all’interno di un quadro europeo già molto delicato, l’intenzione del governo di mettere in sicurezza i saldi di finanza pubblica rischia di risolversi in un autogol.
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