L’Europa e l’unione politica

di Andrea Gilli

In questi giorni di crisi economica e instabilità finanziaria, da più parti si sentono degli attacchi all’Europa. Non tutti sono logicamente errati. Ma l’onda che si va montando si basa su molti miti e leggende che è meglio sfatare.

Che in questi giorni l’Europa abbia agito male è fuor di dubbio. Come è fuor di dubbio che l’Unione Europea non sia senza macchia. Di qui, però, non bisogna lasciarsi trascinare dalle passioni e finire per buttare l’acqua con il bambino.

Di tutte le cose lette in giro, prendiamo la più dotta e ragionata – anche per non fare torto a chi ci legge. Viene dal prof. Carlo Lottieri, che scrive:

Se l’economia ha le sue leggi, e normalmente i risparmiatori tendono a comprare titoli che a loro appaiono affidabili e destinati a crescere (speculando), anche la politica ha le sue. E i processi di unificazione in linea di massima non producono buoni risultati, dato che riducono la concorrenza istituzionale, alzano i costi di exit da un ordinamento all’altro, favoriscono il parassitismo, moltiplicano gli effetti perversi di norme e contratti di lavoro uniformi entro aree diverse.

Da queste premesse, Lottieri ricava il rischio che il processo di unificazione europea porti ad un sistema opprimente e deprimente. La domanda è: ma è proprio così?

La mia opinione è diversa. Con Lottieri convengo sul fatto che l’accentramento del potere sia la più grande minaccia alla libertà individuale e che dunque questa vada, per quanto possibile, combattuta. Che però i processi di unificazione portino a risultati sub-ottimali è un’affermazione abbastanza discutibile.

Partiamo dai dati: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Italia, Germania e Olanda sono oggi tra i più ricchi Paesi al mondo. Questi sono tutti Paesi emersi da processi di unificazione nazionale. Che l’accentramento di potere porti ad inefficienze è chiaro. L’evidenza storica sembra però suggerire, quanto meno, che queste inefficienze siano state minori di quelle sofferte dagli altri Stati.

Il discorso può essere approcciato in varie maniere. Lo si potrebbe formalizzare anche utilizzando il linguaggio di Williamson su hierarchies, markets, transaction costs, etc. Lo possiamo rendere più semplice andando direttamente al punto. L’unificazione di varie entità politiche attorno ad un entità più grande porta tre vantaggi diretti: maggiori mercati interni, e dunque maggiore crescita economica. Capacità di sostenere le economie di scala richieste per lo sviluppo industriale. Maggiore sicurezza nazionale.

Un libertario duro e puro risponderebbe che se non ci fossero gli stati non ci sarebbero neppure barriere, e dunque il discorso cadrebbe. E’ certamente vero. Purtroppo viviamo in un mondo all’indicativo. Non al condizionale. E con gli Stati e i loro atteggiamenti anti-economici bisogna convivere.

Torniamo dunque alla questione se l’unificazione porti benessere o meno. La risposta è, come sempre, che dipende. In particolari da due questioni. La prima riguarda la presenza di fattori esterni che incentivino l’unificazione. Questi fattori di solito sono rappresentati da minacce di tipo politico-militare. L’analisi di Tilly sulla formazione dell’Europa va in questa direzione. Il secondo fattore riguarda le istituzioni socio-politiche pre-esistenti nelle unità che si vanno ad unire. Lo studio comparato di Ziblatt sulla Germania e sull’Italia va in questa direzione.


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