di Mario Seminerio
Negli Stati Uniti, il dato sulla spesa per consumi personali in novembre, pubblicato la vigilia di Natale, mostra un calo dello 0,6 per cento in termini nominali. Un dato certamente non positivo, ma forse destinato a contribuire ad una spesa per consumi del quarto trimestre meno disastrosa del previsto. Utilizzando la stima dei primi due mesi del trimestre, si otterrebbe infatti un calo della spesa reale per consumi personali nel quarto trimestre del 2,9 per cento, su base annualizzata. E’ verosimile che altri componenti del Pil, soprattutto gli investimenti, saranno molto deboli nel quarto trimestre, ma occorre considerare che l’attuale stima di consenso del Pil nel trimestre, pari a meno 5 per cento annualizzato, è basata su un calo della spesa dei consumi dell’ordine del 4-4,5 per cento. Quindi, se la tendenza dei primi due mesi del trimestre sarà confermata, e se non vi saranno crolli di altre componenti del Pil, è verosimile attendersi una revisione al rialzo del Pil del quarto trimestre, nel senso di una contrazione minore del previsto. Visti i tempi che corrono, bisogna farsi andar bene anche questo.
Il lieve miglioramento relativo nell’andamento dei consumi può essere attribuito alla forte disinflazione che ha caratterizzato i mesi di ottobre e novembre. Di fatto, depurando la spesa nominale per consumi dall’andamento dei prezzi, si ottiene un valore reale positivo. Alla disinflazione stanno contribuendo il crollo dei prezzi dell’energia, che sta letteralmente iniettando denaro nelle tasche degli automobilisti, e i disperati tagli ai listini praticati dai commercianti, molti dei quali appaiono comunque destinati al fallimento al termine della Christmas Season. Il calo dei prezzi sta poi tonificando il potere d’acquisto di quanti hanno finora mantenuto il proprio lavoro: su base annualizzata, nel trimestre settembre-novembre le retribuzioni reali (nominali meno inflazione) sono cresciute di un sorprendente 14,8 per cento. Non durerà, visto che l’occupazione continua a cedere, ed un numero sempre crescente di imprese stanno adottando blocchi delle retribuzioni nominali e part-time forzosi come alternativa di breve termine ai licenziamenti, ma è pur sempre qualcosa.
Nel frattempo è utile notare (sempre sui dati di novembre) che gli americani non stanno spendendo interamente questo bonus da disinflazione, che viene destinato in parte anche a ripianare il debito, come mostra il dato sul tasso di risparmio, che continua la propria lenta risalita da livelli prossimi allo zero, e tocca il 2,8 per cento. Circostanza positiva per il lungo periodo, ma che nel breve è -ovviamente- destinata a far soffrire un’economia fatta per il 71 per cento da consumi.
Ultimo dato su cui riflettere è quello dell’indice dei prezzi della spesa per consumi personali “core”, cioè al netto delle componenti volatili di energia ed alimentari. A novembre questo dato mostrava un aumento dell’1,9 per cento sullo stesso mese del 2007, entro la “comfort zone” della Fed, posta tra 1,5 e 2 per cento. Per ora non si può certamente parlare di deflazione.
Una rondine non fa primavera (soprattutto a Natale), e un singolo dato non segna la fine di una tendenza, ma gli ordini di beni durevoli di novembre hanno registrato un calo complessivo di solo l’1 per cento, ed al netto della componente trasporti sono cresciuti, per la prima volta in cinque mesi, dell’1,2 per cento. Alla crescita ha certamente contribuito un aumento del 7,8 per cento degli ordini della Difesa, ma guardando alla voce riferita agli ordini di beni capitali non destinati alla Difesa ed al netto degli aerei (un indicatore della futura attività d’investimento), si osserva un confortante aumento (il primo da quattro mesi), pari al 4,7 per cento. Il tempo dirà se si tratta di una inversione di tendenza, o almeno di una stabilizzazione, o di un episodio isolato. Per ora, nello spirito natalizio evocato anche da Barack Obama nel suo messaggio settimanale, è lecito almeno sperare.
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