di Andrea Gilli
Nelle ultime settimane i colloqui tra Damasco e Gerusalemme sono diventati di dominio pubblico. Interrotti dopo la rivelazione del bombardamento del sito nucleare siriano da parte israeliana, essi hanno ripreso il loro corso nei giorni passati, in concomitanza con l’apparente soluzione trovata a Doha per il caos libanese. Poiché se questo dialogo dovesse portare alla pace, gli effetti sarebbero di portata enorme, conviene guardare alle ragioni, apparenti e non, che hanno favorito il riavvicinamento tra i due Paesi per capire se effettivamente vi sarà un seguito. Tutto parte alcuni mesi dopo l’ictus che colpì Sharon. Olmert, allora appena insediatosi come primo ministro, ventilò la volontà di dialogare con la Siria. L’opinione pubblica si scaldò, ci furono dibattiti, critiche, dubbi, ma non seguì nulla. A fine 2006, ci furono delle dichiarazioni analoghe (anche se di portata inferiore) da parte siriana. Anche in questo caso, nel breve periodo, non accadde niente. L’unico punto importante è che tra i due frammenti ci fu la devastante e desolante campagna in Libano – Israele si impegnò per quasi due mesi per debellare Hezbollah, senza riuscirci.
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