Il dibattito ai limiti dell’assurdo sull’Europa “a cerchi concentrici”

I leader dei maggiori paesi dell’Ue parlano di “integrazione a velocità differenziate”. Ma già esiste, di fatto, da anni

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Giorni addietro, nella solenne cornice di Versailles, i quattro capi di stato e di governo dei maggiori paesi Ue (Germania, Francia, Italia, Spagna) hanno deciso che “unità non significa uniformità” e di conseguenza che i paesi dell’Unione potrebbero e dovrebbero procedere a velocità differenziate sulla strada dell’integrazione. È il concetto di Europa a più velocità o a cerchi concentrici di cui da qualche tempo si dibatte con un livello di astrazione quasi metafisico.

Perché la Ue è già oggi un’entità a più velocità: alcuni paesi hanno l’euro ed altri no, alcuni aderiscono a Schengen, altri no. La Polonia è fuori dallo Statuto dei Diritti Fondamentali, la Danimarca dalla politica comune di Sicurezza e Difesa. Esiste poi dal Trattato di Nizza del 2002 il meccanismo della cooperazione rafforzata. Resta quindi da capire in cosa dovrebbero sostanziarsi questi cerchi concentrici, per avere i quali serve comunque un centro. I quattro leader, che hanno inteso dare il calcio d’avvio alla Grande Riforma dell’Unione, da consacrare nel prossimo vertice del 25 marzo per i 60 anni del Trattato di Roma, dovranno dipingere la tela dopo aver posto la cornice, ed intessere alleanze.

La Ue resta in crisi esistenziale. La percezione è che tedeschi e francesi puntino a rivitalizzare il loro nocciolo duro di natura politica, ma questo disegno si scontra con la diversa velocità economica dei due paesi. La Francia ansima da tempo, ma proprio il suo legame speciale con la Germania ha sin qui impedito ai mercati di prezzare un effettivo rischio-paese: motivo per il quale Parigi resta, sia pure sotto stretta osservazione, ancora un paese core. Poi c’è l’Est, che coniuga brama di sussidi comunitari e ultranazionalismo. Creare blocchi di stati entro un blocco più ampio serve solo teoricamente a semplificare le interazioni e spingere lo sviluppo economico dell’area più vasta.

L’Italia resta a metà del guado, tra proposizioni ideali di grandeur costituente ormai consunte dal tempo ed una realtà di declino economico che oggi appare assai poco reversibile. Così, il premier Paolo Gentiloni, a Versailles, è riuscito a trovare una frase di circostanza che ricorda molto le “convergenze parallele” di morotea memoria: “L’Italia vuole un’unione più integrata ma che consenta vari livelli di integrazione”. Come rivitalizzare lo spirito di Roma 1957 con queste acrobazie logico-dialettiche, in un continente “condannato” alla cooperazione, resta da capire. Cooperazione è compromesso, quindi a volte frustrazione. Su tutto, domina la “questione Eurozona”. Difficile immaginare velocità differenti nell’area della moneta unica, dato l’elevato rischio di creare insostenibili divergenze macroeconomiche.

L’Italia rischia di affogare nel guado, vocata solo a declamazioni impotenti e suggestioni di fuga dalla realtà (e dall’euro), che potrebbero sfociare in violenti traumi. Attendendo la quadratura dei cerchi concentrici.


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