Doppio cappio all’Europa: rigore e guerra delle valute

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Nei giorni scorsi il presidente francese, François Hollande, ha levato la propria voce contro una eccessiva rivalutazione dell’euro, in un momento in cui si torna a discutere del rischio di guerre valutarie globali, dopo che il nuovo primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha di fatto commissariato la banca centrale del proprio paese, inducendola a fissare un ambizioso obiettivo di inflazione al 2 per cento annuo, nel tentativo di sradicare la deflazione che piaga il paese da ormai un ventennio e deprezzare lo yen per rilanciare le esportazioni e sostenere la crescita.

Hollande ha precisato di non volere la fissazione di un cambio ufficiale dell’euro da parte della Bce ma di sottrarre la moneta unica alle violente oscillazioni indotte dagli “stati d’animo” del mercato, stigmatizzando anche il fatto che la rivalutazione dell’euro vanificherebbe gli sforzi di ristrutturazione dell’economia francese in direzione di maggiore competitività. La realtà è che Parigi arranca sempre di più in Eurozona, con un deficit delle partite correnti persistente ed in via di progressivo ampliamento, e che nulla è stato realmente fatto per spingere la competitività del paese, che anzi continua inesorabilmente ad erodersi nei confronti della Germania, mentre la disoccupazione resta superiore al 10 per cento e la domanda interna sta progressivamente venendo meno, esponendo tutta la fragilità di una economia che è ormai prossima ad una crisi esistenziale.

La rivalutazione dell’euro, che da inizio anno ha toccato il 4 per cento contro dollaro, è il frutto avvelenato del “successo” di Mario Draghi nell’aver stabilizzato le condizioni dei mercati finanziari con la sua promessa/minaccia di fare “tutto quello che sarà necessario” per garantire la sopravvivenza dell’Eurozona. Questa posizione ha finito con l’indurre gli investitori globali a fare rientrare capitali verso la moneta unica, sia pure cautamente, alla disperata ricerca di rendimento, in un quadro globale caratterizzato dal “tasso zero” di politica monetaria pressoché ovunque. Ciò tende evidentemente a rafforzare il cambio della moneta unica europea.

Una eventuale “gestione del cambio” è per la Bce assai poco agevole, per motivi politici ma anche economici. In primo luogo, i tedeschi si oppongono ad ogni intervento che possa essere visto come manipolazione ed allontanamento dai fondamentali. E lo stesso Mario Draghi ha del resto escluso in modo netto che il livello di cambio dell’euro sia un obiettivo di politica monetaria, ribadendo l’indipendenza della Bce. Poi non bisogna dimenticare che l’Eurozona, nel suo complesso, si trova con un lieve surplus delle partite correnti. Questo significa che mancano i fondamentali per pilotare al ribasso il cambio. Ma questo avanzo delle partite correnti è soprattutto prodotto dal surplus commerciale tedesco, mentre altri paesi dell’area sono in deficit, e necessiterebbero quindi di un deprezzamento del cambio. Ancora una volta, quindi, si ripropone il dualismo dell’Eurozona, quello squilibrio di competitività tra centro e periferia che oggi si tenta di colmare con una compressione dolorosa e fortemente recessiva della domanda interna dei paesi più deboli.

Sopprimendo la domanda interna attraverso politiche recessive si ottiene infatti un calo (o più propriamente un crollo) delle importazioni, che tende a riequilibrare il saldo commerciale. Naturalmente, conseguire un avanzo commerciale in questo modo è cosa ben differente che farlo con un salutare aumento delle esportazioni. Quello che otteniamo oggi è una pressione deflazionistica che aumenta la disoccupazione e peggiora, anche sensibilmente, i conti pubblici, avvitando l’economia.

Hollande è ovviamente consapevole di questa criticità, che rischia di dare il colpo di grazia alla Francia proprio nel momento in cui la domanda interna del paese sta fermandosi, come mostrano anche gli ultimi dati degli indici dei direttori di acquisti di imprese manifatturiere e di servizi, che evidenziano anche una drammatica divaricazione tra Francia e Germania, presagio di ulteriori problemi nella difficile coesistenza in questa Europa sghemba.

L’appello di Hollande, che peraltro alterna bellicosi proclami domestici ad un sostanziale mutismo sulla scena europea, è destinato a cadere nel vuoto, almeno fin quando le previsioni economiche della Bce non incorporeranno nella crescita i danni causati dall’euro forte: secondo alcune stime, una rivalutazione della moneta unica del 10 per cento taglierebbe il Pil dell’Eurozona dello 0,8 per cento. A quel punto, la Bce potrà azzerare i tassi ufficiali, indebolendo il cambio, ma tutto quello che avremo saranno nuove macerie che spingeranno più in là la mitologica “ripresa” europea. Perché Mario Draghi è stato determinante ad evitare una catastrofe, ma da solo non riuscirà ad evitare la carestia che da anni mina l’esistenza dei prostrati cittadini dell’Eurozona.

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