Tutto sull’F-35 JSF – per l’ultima volta

di Andrea Gilli

Impegnato in questioni più rilevanti, apprendo che l’F-35/Lightning II Joint Strike Fighter è di nuovo tra i temi principali della campagna elettorale. Ne ho già scritto, più volte. Ripeto, in modo sintetico, ancora – spero – le poche cose da dire a proposito (per un articolo sulla storia del programma, si veda qui).

In primo luogo, tutti i Paesi del mondo hanno un’aeronautica militare. E’ vero, San Marino, il Vaticano, il Liechtenstein, Andorra fanno eccezione. Gli USA di Obama, la Francia di Hollande, e persino i Paesi nordici che sono famosi per gli studi della pace e i premi Nobel hanno tutti un’aeronautica militare equipaggiata con avanzati aerei da combattimento. Fine della discussione.

In secondo luogo, comprare armi è inefficiente: è  fuor di dubbio. Se il mondo fosse senza stati e ci fossero singoli individui che commerciano tra loro non ci sarebbe la guerra. Il mondo però è fatto di stati sovrani che, per buone o cattive ragioni, e più o meno razionalmente, talvolta decidono di farsi la guerra. Assicurarsi contro questo rischio, armandosi, è alla base dei compiti dello stato, nonché dunque un’attività perfettamente razionale. Trotzky usò un’utile espressione: “possiamo non essere interessati alla guerra, ma la guerra è interessata a noi”. Se vogliamo intervenire per salvare i kosovari, i libici o i siriani servono armi e missili. Con la proliferazione di difese anti-aeree, un’aviazione militare avanzata è indispensabile. Di qui non se ne esce.

Ora veniamo alle questioni più profonde. Una volta accettato che tutti i Paesi al mondo hanno un’aeronautica militare equipaggiata con aerei moderni, la domanda riguarda l’opportunità di acquistare l’F-35/Lightning II Joint Strike Fighter, di solito chiamato solo F-35 o JSF.

Innanzitutto, l’attuale flotta aeronautica italiana è composta principalmente da tre velivoli:

  • il Tornado Panavia, progettato nel 1968 e in costruzione dalla fine degli anni ’79;
  • l’AV-8B Harrier II plus, progettato negli anni ’70 come evoluzione di un precedente modello e costruito a partire dagli anni ’80;
  • l’Eurofighter Typhoon, progettato a inizio degli anni ’80 e iniziato a costruire a partire dalla metà degli anni ’90.

Facciamo una discussione semplice, così che chiunque la possa capire. Qualcuno si ricorda la FIAT Ritmo? Ecco, quelli sono i nostri Tornado. Qualcuno si ricorda la FIAT 127? Quelli sono i nostri Harrier. La Fiat Brava? I nostri Eurofighter.

E’ chiaro dunque che bisogna rinnovare le nostre flotte, a meno di non voler credere che gli attuali mezzi a nostra disposizione siano all’avanguardia. La domanda, dunque, è sul come rinnovare.

Quando un Paese compra degli armamenti ha fondamentalmente tre opzioni:

  • può sviluppare il programma autonomamente;
  • può comprarlo da un altro Paese;
  • può cooperare con un partner per svilupparlo insieme.

Per via degli sviluppi tecnologici nel campo militare (dallo sviluppo delle difese aeree, alle crescenti capacità dei missili aria-aria “beyond visual range“, solo per citarne alcuni), gli aerei da combattimento devono necessariamente possedere elevatissime capacità militari. Ciò, a sua volta, richiede altissimi investimenti iniziali.

La prima opzione, dunque, non solo impone il possesso di avanzate capacità industriali ma anche di disponibilità finanziarie adeguate per spalmare su una produzione elevata i costi fissi iniziali. Detto più semplicemente, un iPad che costa 200,000 euro non è molto utile. Se l’iPad viene prodotto in milioni di copie e il suo costo scende a poche centinaia di euro, allora questo ha una sua logica economica.

L’Italia, con il debito pubblico tra i più alti del mondo, chiaramente non è nelle condizioni di procedere in questa direzione. Per inciso, non sono molti i Paesi al mondo che sono in grado di andare da soli nella produzione di un aereo da combattimento avanzato e comunque, in Europa, nessuno ha i soldi per sviluppare un programma di 5° generazione come l’F-35.

La seconda e terza opzione sono dunque più allettanti. Resta una domanda: quale aereo comprare/con chi cooperare. In primo luogo, per ragioni di politica internazionale, e anche di semplici esigenze militari (addestramento e operazioni comuni), i Paesi che non sono nostri stretti alleati (come Cina e Russia) non sembrano essere, almeno al momento e nel futuro più immediato, i nostri fornitori ottimali. Per comprare un aereo da combattimento o entrare in una cooperazione per svilupparlo, restano dunque i nostri alleati. Poiché il mercato internazionale degli aerei da combattimento è limitato, le opzioni non sono molto numerose.

Per quando riguarda l’acquisto, quando l’Italia è entrata nel JSF, c’erano fondamentalmente solo tre soluzioni (e in realtà la situazione non è cambiata):

  1. il Rafale prodotto dalla Francia, 4.5° generazione, anche navale.
  2. l’F/A-18E/F Super Hornet, prodotto dagli USA, 4.5° generazione, anche navale.
  3. il JAS-39 Gripen della Svezia, 4.5° generazione, non disponibile nella versione navale.

Per quanto riguarda la cooperazione internazionale, le soluzioni erano 1 e 1/2:

  1. l’F-35/Lightning II Joint Strike Fighter, prodotto in cooperazione con USA, UK, Olanda, Norvegia, Danimarca, Turchia e Israele (il Canada sarebbe intenzionato ad uscire), 5° generazione, anche navale.
  2. l’Eurofighter Typhoon – quello di sopra – nel suo terzo aggiornamento (tranche 3), 4.5 generazione, non disponibile nella versione navale.

Per identificare l’opzione ottimale per l’Italia bisogna ora valutare le nostre esigenze.

Il JSF andrà a rimpiazzare principalmente i Tornado, per capacità di attacco al suolo, e gli Harrier, in dotazione alla nostra marina che li impiega sulla nostra portaerei Cavour. Questa semplice nota immediatamente esclude due possibili candidati dalla lista: né il Gripen né l’Eurofighter sono disponibili in versione navale (e la configurazione STOVL della Cavour rendono praticamente impossibile un adattamento: short take-off and vertical landing). Ciò lascia aperte solo tre opzioni: il Rafale, il Super Hornet e il JSF.

Il Rafale, sviluppato autonomamente dalla Francia in contemporanea all’Eurofighter, ha certamente molti pregi, il prezzo non è però tra questi. Inoltre, comprando il Rafale, l’Italia avrebbe letteralmente ucciso la propria industria sensoristica, in quanto il velivolo monta l’avionica francese di Thales (principale competitore della Selex). Infine, come nel caso del Super Hornet, comprando off-the-shelf un aereo già sviluppato l’Italia avrebbe completamente perso le proprie competenze nella costruzione, sviluppo e integrazione di sistemi militari moderni nell’aerospazio.

Ovviamente queste considerazioni sono politiche. Si può legittimamente sostenere che l’Italia non abbia bisogno di una propria azienda aerospaziale e nei sensori e dunque l’unico parametro da valutare sia quello del costo. I vari governi che si sono succeduti in Italia e che hanno confermato la scelta del JSF (Amato, Berlusconi, Prodi, e di nuovo Berlusconi) evidentemente avevano a proposito un’opinione diversa. Ciò è anche comprensibile visto che, entrando nel programma JSF l’Italia si è anche garantita un’importante partita industriale.

Alla luce di queste considerazioni, però, il JSF non appare tanto come la scelta ottimale, ma piuttosto come l’unica vera opzione in grado di soddisfare le nostre esigenze operative e industriali.

Qualche ultima considerazione.

Da più parti si prendono i problemi tecnici che affliggono l’F-35 per giustificare l’uscita dal programma. E’ un non-sequitur. Lo sviluppo di armamenti avanzati presenta chiaramente delle sfide. Alcuni programmi hanno più problemi di altri. Ma è ovvio che nella fase di sviluppo possano sorgere dei problemi, a meno che qualcuno pensi che sia facile sviluppare un aereo che viaggia a 2,000 km l’ora ed è invisibile a vari tipi di radar. In altre parole, se il programma fosse privo di problemi, allora sarebbe verosimilmente anche inutile da un punto di vista militare. Il JSF ha incontrato diversi problemi, ma non è certo un fiasco quali programmi come il Future Combat System.

Un altra argomentazione, contro il programma, riguarda il suo costo unitario e totale. Il JSF ha in effetti osservato un’esorbitante aumento dei costi (sviluppo collegato ai problemi tecnici). Ma, almeno stando ai dati disponibili, il suo costo unitario rimane analogo a quello del Rafale, con capacità aerodinamiche e militari non solo superiori ma anche ineguagliabili a livello internazionale e, elemento da non trascurare, ritorni industriali per Alenia e l’Italia in generale maggiori.

Allo stesso, l’intero programma costerà al bilancio statale circa 10 miliardi di euro, equipaggiando le nostre forze armate per almeno un trentennio. Di fronte ad una spesa annua pari a 750 milioni di euro non sembra che il JSF sia il fulcro della nostra instabilità fiscale. Anche perché, è bene ricordarlo, il JSF genererà export e dunque imposte, direttamente e indirettamente.

[Addendum, ore 14.51] Infine, può essere utile guardare a cosa fanno gli altri Paesi europei. Partiamo da quelli con cui abbiamo cooperato in passato: UK, Germania e Spagna. UK è nel programma F-35. Germania e Spagna non hanno ancora preso una decisione. La Spagna, come l’Italia, deve rimpiazzare i propri Harrier, e ha una portaerei STOVL. L’unico aereo al mondo in grado di volare su una piattaforma STOVL è l’F-35. Chi legge ne tragga le conclusioni. La Germania non ha questo limite, ma una decisione per rimpiazzare i propri Tornado dovrà essere presa nel giro di pochi anni. Con la crisi fiscale e l’assenza di programmi alternativi in Europa, la Germania non ha molte opzioni: o il JSF o l’Eurofighter tranche 3 (che comunque rimane una soluzione parziale e subottimale). La Francia ha il Rafale e non ha alcun progetto per un programma futuro, se non continuare con gli aggiornamenti della propria flotta. Lo stesso vale per la Svezia e il Gripen. Norvegia, Danimarca, Olanda e Belgio hanno una propria flotta di F-16 Fighting Falcon. Tranne il Belgio, tutti gli altri tre hanno optato per il JSF.

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