di Mauro Gilli
In un editoriale per Il Fatto, Barbara Spinelli ha criticato il Primo Ministro Mario Monti per il suo scarso europeismo. La critica di Spinelli parte da un’intervista che Monti ha rilasciato al quotidiano tedesco Die Welt, nel quale si afferma che «non avremo mai gli Stati Uniti d’Europa, non fosse altro perché non ne abbiamo bisogno».
Scrive Spinelli:
È una brutta capitolazione, perché se non ne abbiamo bisogno ora, quando? È vero, «non sono più in gioco pace e guerra». Ma altre prove ci attendono, molto gravi. Secondo Monti l’utopia è già realizzata, «grazie alla sussidiarietà» (se lo Stato da solo non ce la fa interviene l’Unione, e viceversa). Ma la sussidiarietà funziona se l’Europa ha una sovranità statuale: altrimenti non significa nulla. Non saremmo nella fossa, se l’Unione esistesse.
Vale la pena ragionare sulle parole di Spinelli per sfatare alcuni miti che sono diventati tali nel nostro paese e che non hanno alcun tipo di base empirica.
Partiamo dalla formazione degli stati. Spinelli – e come lei altri – vorrebbe la creazione degli Stati Uniti d’Europa – una trasformazione dell’Europa non solo in senso quantitativo (maggiore integrazione) ma anche qualitativo (da un ibrido tra confederazione/organizzazione internazionale ad un vero e proprio stato federale).
Qui sorge il problema che Spinelli sembra non considerare. Nel corso della storia, questo tipo di trasformazioni non è avvenuto per magia o per caso. Né è avvenuto grazie all’intuizione di individui astuti che avevano capito con largo anticipo i benefici derivanti da una trasformazione di questo genere. La formazione degli Stati è stata spinta da cambiamenti di tipo tecnologico ed economico che hanno posto i governanti dei vari staterelli europei di fronte alla necessità di aumentare le entrate fiscali. Più precisamente, questi cambiamenti hanno reso la guerra significativamente più costosa. A loro volta, le necessità belliche hanno spinto verso la creazione di una burocrazia centrale, la centralizzazione dei poteri, e l’istituzione di un sistema fiscale a livello statale. Da qui deriva la frase di Charles Tilly “lo guerra ha fatto lo stato, e lo stato ha fatto la guerra”.
Ovviamente questa non è solo l’idea di Charles Tilly. E’ il punto di partenza di tutta la letteratura sulla formazione degli Stati nazionali (per chi fosse interessato, i volumi di Anderson, Bean, Ertman, Hui, Porter, e Spruyt trattano questa trasformazione da prospettive diverse e con approcci diversi).
Il dato è importante perchè, in maniera del tutto analoga, cambianti di questo tipo sono stati alla base della spinta federativa a livello europeo. Come ha riconosciuto persino Andrew Moravcsik, uno studioso che con il suo libro The Choice For Europe cercava di dimostrare come le origini dell’integrazione europea vadano trovate negli interessi economici degli attori privati europei, in fin dei conti sono state le considerazioni geopolitiche – e più precisamente le necessità della guerra fredda – a spingere il processo europeo. E’ comunque importante notare che, se non ci fosse stata la guerra fredda, probabilmente ci sarebbe stata lo stesso un’integrazione europea. Il suo fattore trainante, però, non sarebbe stato il movimento federalista europeo ma, semplicemente, le necessità economiche del post-guerra: la necessità di avere adeguate economie di scala per le aziende europee, il consolidamento dell’industria del carbone e dell’acciaio, etc.
Tornando alle spinte geopolitiche, non è una coincidenza, come ha notato recentemente Sebastian Rosato, che la spinta propulsiva per l’integrazione europea sia venuta meno quando è venuta meno anche la minaccia militare per l’Europa. I cittadini sono molto più disposti a sacrifici (tasse più alte), se in pericolo vi è la loro stessa vita, il loro benessere e la loro libertà. Analogamente, i politici sono molto più propensi ad accrescere i loro poteri quando vi sono minacce militari all’orizzonte (si veda questa analisi di Stasavage and Scheve).
Quando la guerra fredda è finita, la spinta europeista si è allentata: non è un caso che gli sviluppi più importanti negli anni Novanta sono arrivati a ridosso del crollo dell’URSS. Progressivamente, gli accordi europei sono diventati sempre più difficili. Ciò è apparso chiaramente a partire dal vertice di Nizza del 2001.
Quali sono le implicazioni di quanto scritto? Le implicazioni sono, purtroppo, chiare. Come i giornali ci ricordano giornalmente, allo stato attuale, sembra assai difficile che gli europei – e in particolare i paesi nordici – accettino maggiore integrazione europea. Possiamo continuare a metterci la magliatte europeista e convincerci che con le sole idee sia possibile cambiare il mondo. Purtroppo, un’analisi storica rigorosa ci dice che ciò non è sufficiente.
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Twitter: @Mauro_Gilli
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