11 settembre: cosa è cambiato e cosa non è cambiato

di Andrea e Mauro Gilli

Sono passati dieci anni dall’11 settembre. In questo post discutiamo come il mondo è cambiato e come, soprattutto, il mondo non è cambiato.

Gli eventi dell’11 settembre sono tra quelli che segnano, per sempre, la storia. Come l’uccisione dell’arciduca Ferdinando, come Pearl Harbour, come l’offensiva del Tet, questi si fossilizzano nell’immaginario collettivo finendo per rappresentare l’inizio o la fine di ere storiche e politiche. Non è detto, però, che questi eventi rappresentino la causa dei cambiamenti che si sono poi osservati.

Dall’11 settembre 2001, il mondo è cambiato, ma non per via dell’11 settembre. Anzi, paradossalmente, nonostante l’enfasi che i media pongono sulla centralità di quei momenti, gli sviluppi di questi dieci anni ci sembrano indicare un’altra lezione: il mondo non è cambiato nelle sue dinamiche strutturali.

Prima dell’11 settembre, il dibattito strategico statunitense si fondava su tre questioni: egemonia americana, bilancio della difesa USA e ascesa della Cina. L’11 settembre ci ha dimostrato che il terrorismo ha molti effetti, ma non può cambiare i rapporti di forza a livello internazionale. Infatti, dopo dieci anni, il dibattito strategico degli Stati Uniti è concentrato nuovamente su come mantenere l’egemonia americana, in quale direzione indirizzare il bilancio della difesa USA e come affrontare l’ascesa cinese.

Il mondo è cambiato, certo. Ma non per via del terrorismo. Gli Stati Uniti sono andati in Iraq, in Afghanistan, hanno ribaltato il regime di Gheddafi, stanno colpendo con droni e forze speciali al-Qaeda in Pakistan, Somalia, Yemen, e in altre decine di Paesi. Ma tutto ciò non ha cambiato la geopolitica mondiale. La grande differenza tra l’11 settembre 2001 e l’11 settembre 2011 non l’ha fatta al-Qaeda. La differenza è data dal fatto che oggi Cina, India, Russia, e Brasile (insieme alla Turchia, all’Indonesia, alla Nigeria) sono più forti: hanno economie più grandi, flussi finanziari più imponenti, bilanci della difesa crescenti.

Il fanatismo religioso, le guerre asimmetriche e lo scontro di civiltà (inteso come difficoltà tra culture diverse a comunicare) sono venuti alla ribalta. Ma la moneta che regola la politica internazionale è sempre la stessa. Le due torri sono cadute, ma la superiorità navale, aerea e spaziale statunitense, unita alle capacità dello US Army e dello US Marine Corps, non è stata intaccata.

Una delle grandi sfide lanciate dall’11 settempre è stata di tipo legale: come interagire con combattenti senza stato, con chi combatte senza dichiararsi in guerra, con chi non accetta un cessate il fuoco. Sono problemi delicati che toccano varie questioni: dalla democrazia al diritto internazionale, dalla convenzione di Ginevra ai diritti base degli individui. Questi dieci anni ci ricordano però quanto ininfluenti siano le organizzazioni internazionali e, con esse, il diritto internazionale. Bush e Obama hanno interpretato come era nel loro interesse il diritto internazionale, lo hanno invocato quando faceva loro comodo e ignorato quando era d’impiccio. La crescita di organizzazioni internazionali e di norme a livello internazionale, negli ultimi vent’anni, è stata impressionante. Ma a dominare la scena sono ancora gli Stati.

Proprio il dominio degli stati sulla politica internazionale ci ricorda un altro dato: negli anni novanta si diceva che NGO, multinazionali, gruppi terroristici e tutto ciò che non era statale avrebbe rappresentato il futuro degli affari internazionali. Tutti i giorni vediamo come Moody’s piuttosto che Wikileaks possono influenzare la condotta degli Stati. Ma i governi continuano a svolgere il ruolo principale nell’arena internazionale.

Neppure la guerra ci pare cambiata. Dieci anni fa ci dicevano che c’erano “nuove guerre” rappresentate da conflitti etnico-religiosi nei quali gli Stati non avevano un ruolo. Oggi la vulgata vorrebbe un futuro dominato da counter-insurgency, forze speciali e nuove tecnologie (droni e apparecchiature C4ISTAR). I fatti parlano chiaro: gli Stati continuano a spendere la maggior parte delle loro risorse in portaerei, sottomarini, carri armati, e missili. Il carattere della guerra è soggetta alle dinamiche del suo tempo. Ma la sua natura rimane costante, come ci ha insegnato Clausewitz. Le intuizioni della net-centric warfare sono state drammaticamente sfatate in questi anni, come le guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, e le operazioni israeliane in Libano e a Gaza dimostrano.

Non sappiamo dire come saranno i prossimi dieci anni. E’ possibile che ci siano nuovi eventi epocali come quelli dell’11 settembre, come è anche possibile che ciò non accada. I dieci anni passati ci dicono una cosa molto semplice: la politica internazionale continua ad andare per il suo corso. Non abbiamo ragioni per credere che qualcosa possa cambiare realmente. Se ci saremo ancora, l’11 settembre 2021, parleremo verosimilmente dell’equilibrio di potenza navale in Asia dell’Est scaturito dall’ascesa cinese e dalla reazione indiana, vietnamita, giapponese, filippina e sud-coreana. Discuteremo della contesa per l’egemonia in Medio Oriente tra Iran, Israele, Turchia e Paesi sunniti. Parleremo del declino dell’Europa e delle relazioni con la Russia. Un dato, fondamentale, plasmerà questi sviluppi: l’egemonia americana. Se gli Stati Uniti risolleveranno la loro economia, il mondo continuerà ad essere unipolare e, verosimilmente, stabile e pacifico. Se l’egemonia americana si affievolirà – come pare stia accadendo attualmente – allora ci troveremo in un mondo diverso, forse più instabile e prono al conflitto. Lo vedremo fra dieci anni.

I commenti sono chiusi.

Scopri di più da Epistemes

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading