Cancelliamo l’F-35 e gli Eurofighter! (non succederà)

di Andrea Gilli

In tempi di crisi economica e finanziaria, non è inusuale che emergano varie proposte per sistemare il bilancio del Paese, specie di fronte a tagli che vanno a colpire la sanità, l’istruzione e i servizi di base.

Una di queste idee ci pare essere quella che vorrebbe la cancellazione dell’F-35/Lightning II Joint Strike Fighter appunto per ripianare il bilancio statale. Non parco, un gruppo di senatori ha ora proposto di ridurre anche gli Eurofighter. Ragioniamo insieme sulle proposte.

L’idea di ridurre gli investimenti di capitale nel comparto difesa per soddisfare altre esigenze di bilancio pone due problemi. In primo luogo, bisogna capire se una tale mossa porterebbe realmente agli effetti sperati in termini di bilancio pubblico; in secondo luogo, bisogna capire se c’è realmente la possibilità di uscire da questi programmi e, soprattutto, quali sarebbero le loro implicazioni politiche, economiche e militari.

Premessa: non sono un sostenitore dell’F-35/Lightning II Joint Strike Fighter. Credo però che qualsiasi posizione vada argomentata.

In primo luogo, il costo totale d’acquisto dell’F-35, su circa trent’anni di operatività del programma, ammonterà a circa 16 miliardi di euro. Tanti: certamente. Questa cifra enorme impallidisce però di fronte alle dinamiche del bilancio statale: pensiamo solo al fatto che tra il 2001 e il 2011 la spesa pubblica in Italia è cresciuta del 50% (da poco più di 500 a più di 750 miliardi di euro l’anno). In altre parole, in un terzo della durata futura del programma, il nostro Paese è riuscito ad incrementare la spesa pubblica per un ammontare pari al 1500% del costo del JSF.

Questi dati però non danno un quadro completo. Infatti, ci sono due variabili che i sostenitori dell’uscita dall’F-35 (e dall’Eurofighter) non considerano. In primo luogo, la partecipazione a questi programmi genera export, il che significa posti di lavoro, tasse, investimenti. In secondo luogo, l’uscita da questi programmi è sottoposta a pesanti penali che difatti annullerebbero (certamente nel caso dell’Eurofighter) i risparmi perseguiti. Dunque, anche volendo, non potremmo. E se uscissimo comunque, i costi sarebbero elevatissimi (ricordiamo che sia l’F-35 che l’Eurofighter sono stati approvati da governi di centro-destra e di centro-sinistra, dunque non si può imputare la responsabilità ad una sola maggioranza).

Qualcuno aggiunge un’altra argomentazione: l’F-35 va abolito o perché non serve o perché un Paese che compra delle armi poi, inevitabilmente, finisce per usarle.

Sul fatto che l’F-35 possa non servire sono in parte d’accordo. Il problema è che la soluzione non si può trovare nel tagliare ulteriormente la spesa in difesa (0,88% del Pil, tra le più basse all’interno della NATO, di cui il 70% va in stipendi e pensioni), ma piuttosto nel definire una defense posture più equilibrata (concetti troppo difficili per un Paese che non ha neppure una strategia di sicurezza nazionale). Ciò è ancora più vero quando, come succede nel caso dei senatori di cui sopra, si è sempre inclini a chiedere missioni militari all’estero per ragioni umanitarie. Ricordiamo che gli armamenti che abbiamo utilizzato in Libia sono il frutto di decisioni prese 15 o 20 anni fa (nel caso dei Tornado, la decisione di sviluppare questo programma fu presa nel 1968!). In altre parole, non si può chiedere alle forze armate la capacità di intervenire in giro per il mondo e poi, allo stesso modo privarle degli strumenti (futuri) per svolgere questi compiti.

La nostra flotta di caccia bombardieri per attacco al suolo deve essere aggiornata, dunque una decisione va presa, e chiaramente non può consistere nel non comprare alcun mezzo.

Sul fatto che un Paese che compra degli armamenti poi finisce inevitabilmente per usarli ci sono mille contro-esempi. Il caso dell’Italia parla per sé: in tutti i teatri dove siamo andati, i nostri soldati sono stati attrezzati con il minimo equipaggiamento necessario, compromettendo spesso anche la loro sicurezza. In altre parole, quest’argomentazione pacifista non regge empiricamente alla prova dei fatti.

C’è poi un’altra questione: il fronte anti F-35 si è spostato sulla crescita dei costi e dei problemi del programma che sarebbero prova provata della futura morte del programma medesimo. Vanno fatte alcune precisazioni.

In primo luogo, il programma F-35 soffre di enormi problemi praticamente dall’inizio. La ragione si trova nell’estrema complessità del velivolo coniugata alla decisione di procedere con uno sviluppo avanzato che ha solamente moltiplicato le difficoltà. Finora questi problemi non hanno portato alla cancellazione del programma.

Questa opportunità non può chiaramente essere scartata. Non credo che però avverrà. Verosimilmente, assisteremo ad una riduzione del numero di velivoli acquistati dagli USA, ma il programma rimarrà in vita. La ragione è semplice: questo programma dà lavoro a troppi lavoratori, specie nelle aziende più sindacalizzate degli Stati Uniti, che dunque opporranno la più strenua difesa contro ogni taglio. Inoltre, recentemente sia la Russia (con il T-50) che la Cina (con il J-20) hanno testato i loro nuovi modelli di caccia supersonici invisibili. Mossa che avrà un solo effetto: rafforzare ulteriormente la ratio militare del programma.

Dove finiremo? Secondo James Hasik, uno dei migliori consulenti americani nel reparto Difesa e Aerospazio, l’F-35 potrebbe essere significativamente ridotto, aiutando così il bilancio federale (la spesa per gli USA ammonta a 300 miliardi di dollari). Prendendosi una pausa a questo programma, gli USA potrebbero investire in ricerca e lasciare che il settore commerciale inventi nuove tecnologie così poi da ripartire più forti di prima nel giro di un decennio e dispiegare mezzi militari ancora più imbattibili. La soluzione si troverebbe ovviamente nel dirigere gran parte degli sforzi verso la costruzione di velivoli senza pilota da combattimento (UCAV).

Quali sono le implicazioni per l’Italia?

Se l’F-35 verrà cancellato, verosimilmente l’Italia rimpiazzerà il mezzo con nuovi Eurofighter del batch 3, quelli con capacità di attacco al suolo. L’Eurofighter costa 80 milioni a pezzo. L’F-35 ne costerà 90/100. Ci sarà un risparmio, ma non pari al costo del programma, come il fronte anti F-35 vuole far credere. Si noti che se ciò, nel breve periodo, vuole dire più contratti per Alenia (che nel programma europeo ha un ruolo superiore a quello che riveste nell’F-35), nel medio periodo ciò può voler dire una perdita di importanti tecnologie militari a tutto discapito della competitività di Alenia.

Se invece l’F-35 non verrà cancellato, allora l’Italia comprerà il suo lotto, eventualmente riducendone un po’ le dimensioni. Va ricordato, infatti, che l’uscita unilaterale dal programma comporterebbe delle forti penali senza considerare, inoltre, il numero di lavoratori che verrebbe messo a rischio e, più importante, il know-how attuale e futuro che verrebbe compromesso.

I commenti sono chiusi.

Scopri di più da Epistemes

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading