La Libia dopo Gheddafi

di Andrea e Mauro Gilli

Il 23 marzo scorso la NATO ha iniziato l’operazione Unified Protector contro la Libia. Cinque mesi dopo, Gheddafi è crollato. Quale è il futuro del Paese: andiamo verso una transizione democratica oppure verso una lacerante guerra civile?

Lungi dall’avere la risposta sotto mano, in questo articolo ragioniamo sui possibili esiti del crollo del regime di Gheddafi.

I lealisti

La prima questione riguarda i lealisti: coloro che in questi mesi hanno continuato a combattere per Gheddafi. Non abbiamo cifre appurate sulla loro consistenza numerica, né sul loro commitment (quanto il loro sostegno a Gheddafi fosse dovuto a sentimenti di lealtà o, invece, se questo fosse il prodotto di meri rapporti commerciali). Possiamo però ragionare sulle loro (due) opzionidarsi alla macchia e organizzare una sorta di insurgency in stile Iraq; collaborare con il nuovo governo.

La scelta deriverà principalmente dai benefici e dai costi relativi delle due alternative. Benefici e, soprattutto, costi relativi che a loro volta dipendono dalle scelte dei ribelli.

Prima di procedere oltre, è innanzitutto utile ricordare che ogni dittatura si fonda su un consenso, seppure limitato. Questo consenso avviene prevalentemente su base etnica, geografica, o politica. In breve, una parte minoritaria della popolazione si vede garantiticerti benefici in cambio del suo sostegno al regime. Ciò permette a quest’ultimo di governare con la forza su una popolazione molto più vasta.

Ciò vale anche per la Libia sotto Gheddafi. Il punto da chiarire riguarda i benefici elargiti ai sostenitori di Gheddafi e, parallelamente, le loro responsabilità nei crimini del regime. Nel caso di Saddam Hussein in Iraq, per esempio, i sunniti hanno avuto enormi benefici dal regime di terrore che ha prevalso nel Paese dal 1978 al 2003. Dall’altra parte, questi sono stati anche responsabili talvolta direttamente (forze armate, polizia, servizi segreti) altrimenti indirettamente di quanto commesso da Saddam. Non è un caso che, una volta caduto Saddam, curdi e sciiti abbiano poi cercato di marginalizzare i sunniti (favorendo implicitamenteì la guerra civile del Paese).

Nel caso di Gheddafi, le linee sono meno chiare. La divisione del Paese è principalmente tra berberi e arabi a nord, e popolazioni nomadi a sud, e tra Est (pro-ribelli) ed Ovest (pro-Gheddafi). Fondamentalmente, è l’area attorno a Tripoli ad aver avuto dei benefici dal regno di Gheddafi. Stimarli, al momento, non è possibile. Il dato centrale è che più sarà intransigente la linea del nuovo regime, più gli ex-lealisti avranno un incentivo ad opporre il nuovo corso politico.

I ribelli

La palla torna duque agli insorti. Dalle loro scelte dipende il futuro del Paese. Qui arriviamo al secondo punto centrale. Gli insorti rappresentano un fronte tutt’altro che omogeneo. Ciò rappresenta un problema non solo perché, dall’esterno, è difficile poter capire gli obiettivi e i rapporti di forza tra i vari gruppi ma, soprattutto, perchè questa divisione può spingere a scelte più sbilanciate, che, per mantenere la coesione del fronte ribelle, potrebbero penalizzare eccessivamente i lealisti.

Il fronte ribelle dovrà a breve accordarsi per dividere la torta libica. I vari gruppi cercheranno di ottenere il massimo possibile dai negoziati: seggi, posti nel governo, proventi dal petrolio, etc. Di fronte all’eventuale impossibilità di quadrare il cerchio, non è impensabile che si finisca per lasciare a mani vuote gli ex-sostenitori di Gheddafi, aprendo così le porte per una possibile guerra civile o comunque a nuova instabilità politica.

Sarà pertanto fondamentale non solo la decisione su se e quanto ritenere responsabili gli ex-lealisti dei crimini commessi da Gheddafi ma anche se e quanto escluderli dal nuovo regime, in particolare, oltre al petrolio, dalla politica e dall’amministrazione dello stato (esercito, polizia, etc.).

Le forze armate e il monopolio della forza

Questo discorso ci porta al monopolio della forza nella Libia post-Gheddafi. A tal riguardo fanno fatti due discorsi separati.

In primo luogo, bisogna ragionare sulle capacità militari dei ribelli. Queste sono estremamente limitate. Nonostate il sostegno aereo della NATO, i ribelli hanno infatti avuto enormi problemi ad affrontare le truppe di Gheddafi durante tutta la guerra. Ancora a fine maggio, i ribelli non riuscivano ad avanzare, sebbene gli attacchi NATO avessero fortemente ridotto le capacità belliche dei lealisti. Non è un caso che il collasso del regime di Gheddafi non sia avvenuto per sopraggiunta vittoria militare ma, invece, per esaurimento delle scorte a Tripoli.

Questo dato fondamentale solleva diverse incognite. Vi è infatti il rischio reale che la rivoluzione venga presto rovesciata manu militari: da Gheddafi una volta che la NATO avrà lasciato il Paese, da nuovi gruppi di potere che hanno adeguati mezzi e preparazione militare, piuttosto che dall’eventuale caduta nell’anarchia del Paese per via dell’assenza di forze di polizia adeguate. Non lo sappiamo, ma questi rischi sono reali.

Infatti, a differenza dell’Iraq, in Libia non c’è né lo US Army né lo US Marine Corps ad evitare che il Paese precipiti in una situazione di tipo somalo o aprevenire il ritorno al potere dell’ex-tiranno.

Ciò porta ad una seconda considerazione. Privi di forze militari e di sicurezza preparate, i ribelli potrebbero aver bisogno degli ex-lealisti per garantire l’ordine all’interno del Paese. Ciò potrebbe rappresentare un collante importante per evitare una guerra civile. Ovviamente, non è detto che i ribelli giungano a queste conclusioni, senza contare che una tale scelta comporta notevoli rischi (come suggerito prima, gli ex-lealisti potrebbero, al momento giusto, ribaltare il regime per reinsediare Gheddafi).

Conclusioni

Presto sapremo quale piega prenderà la Libia post-Gheddafi. Per il momento, vista anche l’assenza di dati affidabili sulla reale consistenza e sulle capacità militari dei vari gruppi (ribelli, lealisti, islamisti, nomadi, etc.), siamo leggermente pessimisti. La letteratura in scienza politica sulle guerre civili suggerisce che i colpi di stato politici, di solito, portano a brevi periodi di disordine interno [1]. Purtroppo, il caso libico si adatta poco a questo schema. I ribelli hanno vinto forti del supporto NATO. Non è chiaro, senza questo sostegno, di cosa siano realmente capaci. Dall’altra parte, le guerre civili tendono a protrarsi molto più a lungo quando riguardano la divisione di risorse naturali come petrolio o diamanti. Non è impensabile che le difficoltà nel giungere ad un nuovo ordine politico, unito all’instabilità che potrebbe emergere, possano portare ad una spaccatura del Paese sulle linee dei suoi giacimenti minerari e delle sue divisioni etniche, con conseguente guerra civile per accaparrarsi le zone più ricche di petrolio. La debolezza militare dei ribelli pone, infine, un’altra incognita sulla capacità del governo centrale di mantenere l’ordine una volta che la NATO avrà tolto la copertura aerea del Paese. Se il nuovo governo si affiderà eccessivamente agli ex-lealisti, il rischio è che Gheddafi possa presto tornare al potere. Dall’altra parte, senza la preparazione degli ex-lealisti, c’è il rischio che il Paese cada nel caos.

 

[1] Si veda l’intero No. 3, Vol. 4 (2003) del Journal of Peace Research e, in particolare l’articolo, nello stesso numero, di James D. Fearon, “Why do Some Civil Wars Last So Much Longer than Others?,” pp. 275-301.

UPDATE: sul sito di intelligence Debka vengono riportati alcuni dubbi che avallano quanto detto qui sopra. In particolare: dove sono le 15 divisioni di forze speciali fedeli a Gheddafi? E’ davvero credibile che il sostegno a Gheddafi sia svanito nel nulla in così poco tempo? Non c’è il rischio che Gheddafi abbia concesso questa vittoria tattica per riprendersi Tripoli e tutta la Libia in breve tempo? Domande a cui non si può dare risposta, ma a cui bisogna certamente dare peso.

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