La Libia, l’Iraq e le guerre americane

di Mauro Gilli

Monta la polemica negli Stati Uniti a proposito delle parole del presidente americano Barack Obama, secondo il quale non era necessario chiedere l’autorizzazione del Congresso per avviare le operazioni militari in Libia. Per giustificare la sua posizione, Obama avrebbe spiegato che di “ostilità” non si tratta. Sorge dunque spontaneo chiedere: come definiamo le “ostilità”?

Invece di rispondere a questa domanda, vale la pena ragionare insieme su quello che è un pattern consolidato nella politica estera americana. Storicamente, tutti i governi cercano di ritagliarsi maggiore indipendenza rispetto a quella garantita loro dalla costituzione. Soprattutto in materia di politica estera. Infatti, i “checks and balances” possono diventare ostacoli ingombranti per la prosecuzione di determinati obiettivi. Il governo degli Stati Uniti non fa eccezione. Al contrario, è forse uno degli esempi migliori.

Nella storia americana è difficile trovare un presidente che non abbia iniziato un’operazione militare, una guerra o qualsiasi altra attività che impiegasse i mezzi militari senza il tentativo di eludere il controllo del Congresso. La guerra in Nicaragua, quella a Granada, l’avvio delle operazioni militari in Vietnam ben prima della Gulf of Tonkin Resolution (i cosiddetti “consiglieri militari” di Kennedy), e poi ancora l’invasione della Baia dei Porci nel 1961, il golpe in Cile nel 1973, in Iran nel 1953, in Nicaragua nel 1954, per non parlare della guerra tra Stati Uniti e Spagna per il controllo di Cuba nel 1898, l’allargamento della Frontiera con la guerra con il Messico per il controllo del Texas del 1845, e così via.

L’elenco è lungo. Molto lungo. Presidenti democratici (Kennedy, Johnson, Obama, Polk) e presidenti Repubblicani (Reagan, Nixon, McKinley, Eisenhower) non hanno mostrato significative differenze: di fronte ad un incentivo economico (Guatemala) o strategico (Cambogia) ad intervenire militarmente, e agli ostacoli che il Congresso avrebbe posto, presidenti di tutti i colori hanno cercato di aggirare i vincoli all’attività dell’esecutivo, estendendo così le sue prerogative.

Il Congresso non conta, dunque? No: il Congresso conta. Eludendo però l’inizio delle attività militari, il Congresso viene posto di fronte ad una situazione particolarmente difficile da gestire, essendo il suo unico potere quello di bocciare lo stanziamento di fondi per la guerra ormai in corso. Nessun Congresso voterebbe mai in tale direzione, esponendosi così al fuoco di rappresaglia della critica di “non garantire i rifornimenti e le protezioni ai nostri ragazzi”.

Vi è un’ultima considerazione, più generale – che molti sembrano avere ignorato. Negli ultimi 20 anni, la letteratura sulla “pace democratica” ha guadagnato l’attenzione persino dell’opinione pubblica. L’idea di base è che  le democrazie siano più pacifiche delle autocrazie. Ciò sarebbe dovuto ai vincoli istituzionali che il governo di uno stato democratico deve superare (per dirla in modo semplice: nelle democrazie ci sarebbero più “veto points”). La verità, come sempre, è assai più complessa, e questo esempio sembra suggerire si trovi nel mezzo. Se le democrazie possono essere maggiormente “vincolate” rispetto agli altri stati, è anche vero che i Governi democratici, come quello degli Stati Uniti ci ricorda, cercano in modo continuato e continuativo di eludere questi vincoli.

Il caso della Libia non fa eccezione.

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