di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Il pomeriggio del 6 maggio 2010, quella che sembrava una normale giornata di scambi sulla borsa americana venne improvvisamente turbata da un impressionante crollo, sviluppatosi nel giro di pochi minuti. I maggior indici azionari giunsero a perdere quasi il 10 per cento nel corso della seduta, mentre le agenzie battevano impazzite nuovi lanci, chiedendosi freneticamente cosa stesse accadendo. Si parlò di imminenti minacce terroristiche, di Grecia sull’orlo del default o dell’uscita dall’euro, di un caso di “fat finger”, letteralmente il “ditone” di qualche operatore che digita uno zero di troppo su un ordine di vendita. L’episodio venne ribattezzato con il suggestivo nome di“Flash Crash”, e su di esso venne aperta un’inchiesta da parte della SEC (la Consob americana) e della CFTC, la commissione di controllo sui derivati.
La conclusione giunse il 30 settembre scorso: un grande ordine di vendita di futures aveva innescato una reazione a catena, con intervento di sofisticati software di trading algoritmico (quelli che operano in frazioni infinitesimali di secondo), ed il mercato si era improvvisamente trovato da una sola parte, quella dei venditori. A distanza di un anno, giovedì 5 maggio, un simile “vuoto d’aria” si è verificato sulle materie prime, con un vero e proprio crollo verticale del petrolio, mentre l’argento ha subito l’ennesimo rovescio, culmine di un ribasso di circa il 30 per cento in pochi giorni.
La meccanica del mini-crollo dei giorni scorsi appare diversa dal Flash Crash di un anno fa, ma le similitudini restano. Ad esempio, anche oggi ci chiediamo cosa sa il mercato che noi non sappiamo, come se il mercato fosse un’entità terza rispetto alla somma dei suoi componenti. Giovedì scorso tutto è cominciato dopo che il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha di fatto escluso un aumento dei tassi ufficiali sull’euro già nella riunione di giugno. Questo ha causato un’improvvisa corrente di vendite di euro contro dollaro.
Le materie prime sono espresse in dollari, e tendono quindi (a parità di ogni altra condizione) a deprezzarsi quando il dollaro si rafforza: è così cominciato lo smottamento, divenuto esondazione quando, nel primo pomeriggio italiano, sono stati pubblicati dati americani che indicavano un inatteso rallentamento della crescita del settore dei servizi. A questo si aggiunga il fatto che le maggiori borse merci internazionali hanno meccanismi di controllo delle oscillazioni di prezzo molto laschi, ed il crash è servito.
Per dare la misura di quanto estremo è stato il movimento, basti pensare che un crollo di circa il 10 per cento del petrolio equivale ad un movimento pari a 5 deviazioni standard dalla media giornaliera dei prezzi, cioè ad un evento che dovrebbe essere pressoché impossibile, se l’andamento dei prezzi fosse distribuito secondo una normale. Ma nell’era del “Cigno Nero” sappiamo che non vi è nulla di “normale” nella distribuzione dei prezzi delle attività finanziarie, e che eventi estremi sono ormai divenuti un’inquietante regola.
Come sempre in questi casi, ai crolli seguono le spiegazioni. O meglio, le razionalizzazioni. Il mondo è sulla soglia di una ricaduta in recessione, sentenzia qualcuno, anche dopo aver visto nelle ultime settimane dati macroeconomici meno brillanti delle attese. Forse è così, o forse le materie prime (che negli ultimi anni hanno subito una profonda metamorfosi, essendo state “finanziarizzate” soprattutto tramite il ricorso a derivati) si erano spinte troppo oltre, divenendo il bene rifugio del pianeta, di fronte alla elevata incertezza causata da politiche monetarie non ortodosse, adottate dalla Fed di Ben Bernanke per fare uscire gli Stati Uniti dalla peggiore crisi dalla Grande Depressione.
Alla base del rally delle materie prime degli ultimi anni restano tuttavia squilibri reali. La Cina incetta rame in giro per il mondo, per costruire ma anche per costituire garanzie molto tangibili da offrire alle banche ed aggirare i controlli sul credito imposti dalle autorità di Pechino. Le materie prime agricole restano in tensione, dopo i pessimi raccolti dello scorso anno e la corsa al bioetanolo, che riduce le superfici coltivabili. Così come il petrolio, dopo che l’azzeramento dell’export libico non è stato compensato dalla produzione saudita, da tempo in affanno.
Eliminata negli ultimi giorni quella che gli anglosassoni spesso definiscono “schiuma speculativa”, le materie prime sono e resteranno protagoniste di fortune e rovesci dell’economia globale.
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