Tremonti-Juncker, si fa presto a dire Eurobond

di Mario Seminerio – Libertiamo

Il lussemburghese Jean-Claude Juncker e l’italiano Giulio Tremonti, con un editoriale sul Financial Times, hanno proposto di affrontare la forte turbolenza in corso sui mercati del debito sovrano dei paesi periferici di Eurolandia attraverso la creazione di un bond sovranazionale europeo. L’ipotesi non è inedita, essendone Tremonti da sempre grande sostenitore, ma è la prima volta che esce dalla dimensione del pour parler per assumere un discreto grado di strutturazione operativa. Cerchiamo quindi di analizzare tale proposta.

In sintesi, Tremonti e Juncker (d’ora in avanti, T-J) propongono di istituire un’agenzia europea di debito (European Debt Agency, EDA), con il compito di raggiungere uno stock di debito circolante equivalente al 40 per cento del Pil dell’Unione europea e di ciascun stato membro. L’EDA dovrebbe finanziare fino al 50 per cento delle nuove emissioni dei propri membri, per creare (negli intendimenti di T-J) “un mercato liquido e profondo”.

In circostanze eccezionali, cioè quando singoli stati membri si trovassero precluso l’accesso ai mercati finanziari, potrebbe essere finanziato tramite EDA fino al 100 per cento del fabbisogno finanziario nazionale, fermo restando il tetto massimo del 40 per cento nel rapporto debito-Pil. EDA dovrebbe inoltre offrire la possibilità di concambio tra i nuovi E-bond e le emissioni nazionali, che avverrebbe ad uno sconto che risulterebbe funzione del grado di “sofferenza” dei bond nazionali. Quali sono le debolezze di tale piano?

Prescindendo dal fatto che si tratta di fatto di cessione di sovranità fiscale, e che quindi richiederebbe una modifica ai trattati europei, T-J sembrano molto insistere sull’aspetto della liquidità del nuovo strumento di debito comunitario. Recita infatti un passaggio dell’op-ed comparso sul Ft:

«In assenza di mercati secondari ben funzionanti, gli investitori sono stanchi di essere costretti a detenere i propri bond in portafoglio fino a scadenza, e perciò chiedono compensi crescenti al momento di sottoscrivere le nuove emissioni. La Ue ha gestito questo problema con un intervento ad hoc, emettendo bond per conto degli stati membri solo quando il loro accesso ai mercati è stato seriamente limitato. Questa settimana la Banca centrale europea ha intrapreso ulteriori iniziative per stabilizzare il mercato secondario. Con un singolo mercato europeo, le limitazioni di mercato primario sono in effetti evitate, riducendo la necessità di interventi di emergenza sul mercato secondario»

Questa argomentazione è fallace, perché tende a confondere i problemi di liquidità con quelli di solvibilità, cosa che peraltro accade spesso a molti osservatori. Quando i timori per la solvibilità crescono, anche la liquidità si prosciuga. Di fatto, la carenza della seconda diviene effetto dei primi, e non viceversa.

Altro rilevante problema operativo: l’entità dello sconto per concambiare titoli nazionali nel nuovo E-bond. Chi lo stabilisce, il mercato? Un comitato di “saggi”? La Commissione europea? L’Ecofin? Il Consiglio europeo? E in base a cosa, ad osservazioni di prezzi di mercato, dove solvibilità e liquidità si intrecciano e moltiplicano lo sconto sul prezzo? Questo è un punto fondamentale, perché si tratta della proposta che raccorda il concetto di “ristrutturazione” per i paesi fiscalmente viziosi, richiesto a gran voce dai tedeschi, con la nascita del nuovo strumento di debito comunitario, in una sorta di do ut des politico ben prima che economico.

Altro problema: Quale sarebbe il ranking dell’eurodebito rispetto ai debiti nazionali? D’acchito verrebbe da dire che il primo è privilegiato rispetto ai secondi. Ma se le cose stanno così, ai secondi il mercato applicherebbe immediatamente una penalizzazione di prezzo, che determinerebbe un immediato innalzamento del costo del debito nazionale, tale da mandare al tappeto i budget nazionali.

Tra i pregi del nuovo eurodebito, T-J aggiungono anche il contrasto al moral hazard:

«Ai governi sarebbe consentito l’accesso a risorse sufficienti, al tasso d’interesse della EDA, per consolidare le finanze pubbliche senza essere esposti ad attacchi speculativi di breve termine. Questo imporrebbe ai governi di onorare pienamente i propri obblighi, cercando al contempo di evitare tassi d’interesse eccessivi sull’indebitamento non coperto dagli E-bond. I benefici derivanti da un finanziamento più conveniente e sicuro sarebbero considerevoli»

Forse. Ma cosa impedirebbe ai governi, dopo aver scaricato sullo strumento comune il 40 per cento del proprio debito-Pil, di riprodurre, sulla porzione “domestica” di debito, gli stessi comportamenti viziosi visti finora, o (detto in altri termini) cosa farebbe venire meno le difficoltà strutturali che hanno finora alimentato gli stock di debito? Ad esempio: convertendo il proprio 40 per cento di debito-Pil, l’Italia crescerebbe magicamente di più? No. E, come detto sopra, il mercato applicherebbe alla porzione di debito rimasta domestica il premio per il rischio di subordinazione rispetto agli E-bond, facendo immediatamente innalzare il costo del servizio del debito. Nei fatti, si darebbe vita ad un mercato del debito sovrano di natura dualistica, destinato ad implodere sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.

In sintesi, la proposta Tremonti-Juncker rappresenta il primo tentativo di sistematizzare un intervento comune e comunitario di tipo fiscale, ma cade vittima di incoerenze e contraddizioni, operative e logiche. I tedeschi vi hanno peraltro già posto il veto, ma riteniamo che il governo di Angela Merkel sarà costretto a prendere atto che la Germania è “incastrata” nell’euro esattamente come ogni altro paese di Eurolandia, virtuosi e viziosi. Uscire dalla moneta unica, come pare Merkel abbia minacciato in un momento particolarmente critico del negoziato sul nuovo meccanismo europeo di stabilità europea, avrebbe un effetto devastante per Berlino, con una rivalutazione violenta ed inarrestabile del cambio del Nuovo Marco.

Servono nuove soluzioni, fino al limite della cessione parziale di sovranità fiscale, a sostituire un patto di stabilità e crescita (o convergenza, come è stato ribattezzato) che anche dopo la riformulazione resta ad elevato rischio di fallimento, a seguito della preponderante componente di negoziato politico intergovernativo legato alle sanzioni per i paesi che sforano. Conviene prendere atto che la politica monetaria da sola non basta, per tenere insieme un’unione che ci si ostina a definire economica. In attesa di questa presa di coscienza, prepariamoci: andrà peggio, molto peggio, prima di andare meglio.

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