Romani e la diplomazia commerciale: idee fantastiche

di Andrea Gilli

Il neo-ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani dice di voler in ogni nostra ambasciata all’estero un commissario commerciale per aiutare le nostre aziende. Ma serve davvero? O il ministro si perde qualcosa?

Prendiamo in primo luogo le dovute cautele. Nel caos mediatico-politico italiano è oramai impossibile capire cosa i politici fanno (poco e male) e cosa dicono di voler fare (tanto e bene). Quindi è assolutamente possibile che la proposta non abbia alcun risvolto pratico ma sia invece la solita boutade giornaliera per ammaliare il pubblico (chiamarli elettori sembra in effetti un po’ eccessivo).

Assumiamo però che il neo-ministro voglia davvero stabilire un commissario commerciale in ogni nostra ambasciata. Se così fosse, allora i problemi non mancano. La questione di bilancio è la prima, oltretutto la Farnesina è tra i Ministeri degli Esteri europei con le minori dotazioni finanziarie quindi sarebbe curioso sapere dove verrebbero trovati i nuovi fondi.

Lasciamo poi perdere una questione tecnica: l’addetto dovrebbe esistere nelle ambasciata o anche nei consolati? Se si vuole che questa misura risulti un minimo efficace, anche i consolati dovrebbero essere coinvolti. Ma ciò significherebbe più costi. Vedi dunque nuovamente il punto 1.

Il dubbio maggiore che la proposta mi provoca, però, è un altro. Gli addetti commerciali già ci sono. Non sono un esperto della burocrazia del MAE. So però di aver fatto un internship a Los Angeles presso l’ufficio commerciale del Consolato Generale d’Italia. Il mio capo si occupava dei rapporti con le imprese. Il suo lavoro consisteva nel favorire le aziende italiane.

Forse manca un ufficio centrale che coadiuva le attività dei consolati? Non mi sembra. Ogni ambasciata ha già l’addetto commerciale. Poi l’Italia ha anche l’ICE, l’Istituto per il Commercio Estero, che ha sede in quasi tutti i Paesi del mondo e più sedi distaccate (a Los Angeles ce n’era una). Anche questo si occupa di favorire le nostre imprese all’estero. Ci sono poi le Camere di Commercio: anche queste,  a loro volta, si occupano di favorire le nostre imprese all’estero. Poi ci sono ancora le sedi estere delle regioni italiane: anch’esse si occupano di diplomazia commerciale.

Tre dubbi, a questo punto, mi sembrano più che leciti. Il primo dubbio è che Romani non abbia idea di come stanno le coseIl secondo dubbio è commerciale. Le nostre aziende hanno già successo all’estero. Se alcune non ce l’hanno, c’è evidentemente una ragione. O non producono ciò che il mercato estero richiede, o hanno una qualità inadeguata. Questi problemi chiaramente non si risolvono con un addetto commerciale.

Ci può essere, però, un’altra ragione. Le nostre aziende non sono competitive. Una delle ragioni va di sicuro trovata nell’eccessiva burocrazia ed enorme tassazione che abbiamo in Italia. Come vuole risolvere Romani questo problema? Creando ulteriore burocrazia da pagare con ulteriore tassazione. Semplicemente fantastico.

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