Se anche Confindustria molla Berlusconi

di Mario Seminerio – Liberal Quotidiano

Il rapporto autunnale sullo stato della congiuntura, redatto dal Centro Studi Confindustria (CSC), conferma quanto già previsto nelle ultime settimane dai modelli macroeconomici di un po’ tutte le organizzazioni internazionali: la congiuntura dei paesi sviluppati sembra nuovamente perdere slancio. Si discute circa il fatto che si tratti di una semplice decelerazione, del tutto fisiologica dopo la prima parte di una ripresa, oppure di una ricaduta in condizioni recessive, che si sostanziano (giova ricordarlo) non tanto in una contrazione del Pil quanto in un suo tasso di crescita inferiore al potenziale, che mette pressione al rialzo al tasso di disoccupazione. Come in effetti prevede il centro studi di Viale Dell’Astronomia, che ipotizza una risalita a fine 2011 al livello del 9,3 per cento.

Nel 2011 la crescita italiana è rivista al ribasso, da 1,6 ad 1,3 per cento, mentre il 2010 si chiuderà con una perdita di occupazione, rispetto al 2008, di 480.000 unità, ed un ricorso alla cassa integrazione ancora molto sostenuto. E’ opportuno ricordare che il tasso di disoccupazione italiana, apparentemente inferiore alla media Ue, è artificialmente compresso sia da un tasso di partecipazione alla forza lavoro storicamente basso (anche a causa della rilevante presenza dell’economia informale e sommersa, di cui parleremo tra poco), sia dal forte ricorso ad ammortizzatori quali la cassa integrazione in deroga, che rischiano di occultare situazioni aziendali non più recuperabili. Per il CSC, con questo passo di crescita, il vuoto di attività causato dalla crisi sarà colmato solo nel 2013.

L’Italia appare sempre più una “piccola Germania”, ma non si tratta di una considerazione confortante: significa che la nostra economia dipende in misura crescente dall’export, che innesca alcuni spunti positivi dal versante degli investimenti, mentre i consumi delle famiglie continuano a languire, “penalizzati da reddito disponibile e lavoro difficile”. Non esattamente una novità.

Sarebbe piuttosto ingenuo pensare che il messaggio proveniente dal Centro Studi di Confindustria possa limitarsi a considerazioni asetticamente accademiche. Il tono usato in questo rapporto appare infatti assai meno ottimista di quanto la tradizione ci abbia insegnato, soprattutto durante la direzione di Luca Paolazzi.

Colpisce, in particolare, il riferimento alla “brusca accelerazione” del sommerso nel 2009, che il CSC oggi stima “su valori molto superiori ai 125 miliardi stimati” dallo stesso CSC lo scorso giugno. Questo pare essere il principale punto “politico” dell’analisi, poiché da esso discende una revisione della pressione fiscale”ben al di sopra del 54%” del 2009, e del 43,2% della pressione apparente contenuta nei documenti ufficiali.

E’ piuttosto fisiologico che, durante una recessione, una parte dell’attività economica tenda a spostarsi nel sommerso e nell’informale: il problema è l’entità di questo spostamento e soprattutto la sua reversibilità al momento del consolidarsi della ripresa. Davvero sorprendente è poi un passaggio del rapporto, parole che sembrano scritte da Romano Prodi o Vincenzo Visco:

“E’ probabile che la recente espansione del sommerso sia stata determinata anche dall’abolizione nel 2008 di buona parte delle norme antievasione introdotte negli anni precedenti”. Indipendentemente dall’efficacia delle norme abrogate, per Confindustria tali norme avevano ”accresciuto la percezione di un inasprimento della lotta all’evasione e quindi aumentato la compliance spontanea”

Confindustria esprime in tal modo una crescente insofferenza, al limite della rottura, per l’assenza di un interlocutore di politica economica, ma anche per l’assenza di riforme strutturali, dopo oltre un biennio trascorso ad assecondare gli annunci “epocali” dell’esecutivo, mentre il paese resta inchiodato ad una crescita del tutto insufficiente, che sfocia in stagnazione. Emma Marcegaglia sembra quindi aver rotto gli indugi ed essere in procinto di abbandonare il governo al proprio destino. Nulla è irrecuperabile, anche considerando che simili dialettiche sono più l’eccezione che la regola, ma questa volta pare essere stato compiuto un passo verso il punto di non-ritorno.

Da questo momento occorrerà verificare quanta parte della posizione di Confindustria esprime una tensione riformatrice genuina, non limitandosi a chiedere ed ottenere alcune limitate e frammentarie concessioni, come già accaduto nel recente passato. Per il “governo del fare” è comunque un brutto rovescio.

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