L’Iran, Israele e quella risposta militare che non arriva mai

di Andrea Gilli – Giornalettismo

L’attacco viene dato per imminente ormai da cinque anni. In realtà, l’opzione militare continua ad avere due ostacoli: uno logistico, l’altro politico.

Da qualche settimana, le voci che dichiarano oramai imminente un attacco israeliano contro l’Iran si sono moltiplicate in maniera impressionante. Bisogna crederci? Sono parte di uno spin mediatico o riflettono realmente l’evoluzione delle dinamiche militari in atto? In questo articolo cercherò di dare una breve risposta.

CINQUE ANNI – In primo luogo, bisogna ricordare che l’attacco contro l’Iran viene dato per imminente oramai da almeno cinque anni. Nel settembre 2005, di fronte alle voci che, appunto, davano anche allora per certo l’attacco, scrissi un articolo sul sito online della rivista Ideazione dal titolo eloquente: perché una guerra all’Iran non è possibile. E’ brutto citarsi. E’ ancora più brutto ricordare di avere avuto ragione. E’ sempre meglio, però, di aver fatto una previsione completamente errata come quelle dei vari Podhoretz, Schlesinger, Ledeen e compagnia cantante. Nel frattempo, però, sono passati cinque anni e l’Iran ha fatto certamente dei passi avanti nello sviluppo della sua tecnologia nucleare. La domanda è quanto grandi siano stati questi passi. Non lo sappiamo. Nel 2007, la NIE (National Intelligence Estimate) affermò che l’Iran non avrebbe raggiunto la tecnologia necessaria per fabbricare un’arma nucleare prima del 2013. Nel 2009, nuovi rivelazioni dell’intelligence USA hanno alzato il livello della minaccia. Negli ultimi mesi, lo stesso presidente Obama ha alzato i toni contro l’Iran, segno (forse?) di un incremento della minaccia nucleare iraniana. Bisogna dunque concludere che Israele attaccherà?

LO SPIN MEDIATICO – Dipende. Personalmente, pur non potendo escludere questo sviluppo, non sono ancora convinto che possa avvenire. In primo luogo, questo spin mediatico ha un solo effetto: quello di mettere l’Iran sul chi vive. Un attacco contro i reattori nucleari iraniani richiede, per la sua riuscita, l’effetto sorpresa. Lo spin mediatico sta solo producendo il risultato opposto. Per fare un esempio, nel settembre 2007, Israele ha distrutto un sito siriano intento a sviluppare armi nucleari. Nessuna informazione sul sito era stata resa nota sui media internazionali. Nessuna voce di un attacco fu rivelata. Dell’attacco si seppe solo nella primavera 2008 (sette mesi dopo) quando l’amministrazione Bush, volendo far fallire il dialogo tra Israele Siria, rese noti i dettagli dell’operazione. Vi sono poi considerazioni puramente operative e militari. Uno studio del 2007 pubblicato sulla rivista International Security rivelava come Israele avesse i mezzi per portare a termine l’attacco con successo. Queste considerazioni valgono, ovviamente, sulla carta. Come Clausewitz ha detto quasi duecento anni fa, la guerra è estremamente semplice. Ma in guerra, anche le cose più semplici diventano difficili. Un attacco all’Iran richiede segretezza, sorpresa, coordinamento, operazioni complicate da un punto di vista logistico, fisico e psicologico. Il minimo errore può essere fatale per tutta l’operazione. Israele, dunque, è chiaro che vorrà compiere questo passo quando non vedrà davvero altre alternative.

I DUE OSTACOLI – Due ostacoli si oppongono a questo sviluppo. Il primo è, sempre, operativo. Il secondo è politico. Operativamente è impossibile determinare se l’attacco abbia successo o no. Anche assumendo che l’IDF (l’aeronautica militare israeliana) sia in grado di portare a termine l’operazione senza il minimo errore, ciò non significa che le capacità nucleari vengano annientate o ritardate sensibilmente. E soprattutto, non c’è modo di stabilirlo. Gli iraniani non sono stupidi. Verosimilmente, si sono cautelati non solo moltiplicando il numero di siti, ma anche proteggendoli e nascondendoli. Il secondo ostacolo è di natura politica: gli Stati Uniti. Vista la precaria situazione in Iraq e in AfghanistanWashington non è disposta a pagare la reazione iraniana ad un attacco israeliano. La ragione per cui Obama ha iniziato ad alzare i toni può, in parte, quindi essere spiegata con la volontà di rassicurare Israele. A sua volta, non è impossibile che lo spin mediatico a cui abbiamo assistito recentemente sia semplicemente una mossa per costringere Obama nell’angolo. Di fronte ad un Presidente che alza i toni ma non vuole fare nulla, Israele e i suoi alleati nei media USA possono aver deciso di far sembrare la minaccia iraniana più imminente.

I PROBLEMI DI OBAMA – L’attuale presidente degli USA, in calo nei sondaggi e, in generale, nell’efficacia del suo governo, sta affrontando una moltitudine di sfide. Sul campo politico-militare, la fine delle operazioni di combattimento in Iraq vede, dall’altra parte, le crescenti difficoltà in Afghanistan. Obama sa che per vincere in questo teatro, ed essere rieletto nel 2012, ha bisogno di pace, stabilità e quindi del sostegno (diretto o indiretto) iraniano. A meno di sviluppi preoccupanti, non credo che vorrà cambiare posizione. Proprio per questo, come durante l’avvicendamento tra Bush e Obama, credo che le chances migliori per un attacco di Israele siano verso la fine del first term, quando l’assenza di una chiara leadership americana rimuoverebbe almeno uno dei due ostacoli ad un attacco israeliano. Ciò, ovviamente, non significa che un attacco ci sarà allora, né tanto meno che non ci sarà. Il punto centrale sul quale bisogna ragionare è però un altro. Cinque anni fa ci dicevano che bisognava attaccare al più presto l’Iran perché altrimenti sarebbe entrato in possesso della bomba atomica. Al di là che bisogna ancora chiarire se un Iran nucleare sia davvero una minaccia, i fatti parlano chiaro: l’Iran non è ancora una potenza nucleare. E a non averlo attaccato, ci abbiamo solo guadagnato. Mi sembra la strada giusta da seguire.

I commenti sono chiusi.

Scopri di più da Epistemes

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading