di Andrea Gilli
In questi giorni, l’Europa è messa a dura prova da due crisi. Di una parlano tutti, è la crisi finanziaria. Dell’altra si parla molto di meno, e soprattutto non vi si riflette: è la crisi dell’Europa.
La crisi finanziaria ha mostrato la debolezza intrinseca dell’Europa. La Germania, giustamente, non voleva regalare dei soldi alla Grecia, ma così facendo ha solo reso il suo intervento ancora più impellente con il risultato finale di non lenire la crisi. La Grecia, dall’altra parte, è finita in questo baratro per un misto di free-riding e pressioni sistemiche. La protezione finanziaria fornita dall’Euro (attraverso tassi d’interesse più bassi per i Paesi con debiti più alti), unita all’annacquamento dei meccanismi di disciplina di bilancio a livello europeo (tra i quali il Patto di Stabilità e Crescita) che sono stati depotenziati dai governi che avrebbero avuto massimo interesse a rafforzarli, come Francia e Germania, ha dato un incentivo enorme all’irresponsabilità fiscale. Dall’altra parte, proprio l’Euro ha favorito sviluppi inflazionistici in alcuni settori che poi, alla fine, hanno anch’essi portato al collasso. Il risultato, in ogni caso è stato drammatico.
Questo momento di incertezza ha dimostrato l’incapacità politica dell’Europa. Taluni parlano di egoismi nazionali. Altri parlano di assenza di meccanismi di governance adeguati. Si può discutere fino al 2020 di quale sia la gamba più debole. Il discorso è che l’Europa non è uno Stato, seppure le sue dimensioni siano più grandi di quelle di uno Stato. In tempi di vacche grasse, questi nodi non saltano al pettine. Quando la coperta si accorcia, il meccanismo intergovernativo salta e nessuno è disposto a dividere il proprio tozzo di pane con chi è ancora più affamato.
Questa discussione mi pare interessante per due ordini di motivi. Non ho la sfera di cristallo, quindi non posso prevedere il futuro. Noto però come questi problemi fossero stati già notati tempo addietro. Gli scienziati sociali seri, infatti, avevano notato la debolezza economica e politica dell’Europa e avevano stigmatizzato la poca lungimiranza delle sue classi politiche.
Dal punto di vista economico, studiosi seri come Alesina, Perotti e Giavazzi, per citarne solo alcuni (si veda per esempio questo breve paper), avevano rilevato tempo addietro le debolezze dell’Europa. Queste partivano dalla bassa produttività, dalla bassa spesa in ricerca, dal mercato del lavoro più rigido fino al welfare state che non solo favoriva i favoriti ma che anche spesso disincentiva il lavoro e l’investimento. Le pressioni inflazionistiche o deflazionistiche della moneta unica complicavano la faccenda, ma non erano altro che pioggia sul bagnato.
Dal punto di vista politico, studiosi di orientamento liberale (Moravcsik) o realista (Mearsheimer) avevano da lungo rilevato la difficoltà di andare oltre lo Stato nazionale, e dunque avevano previsto come il progetto europeo sarebbe, ad un certo punto, arrivato, se non al capolinea, quando meno ad una sosta prolungata.
Il dato interessante è che di questi fatti (e parlo di fatti, non di teorie), nell’ultimo decennio, si è parlato poco. Anzi, chi avanzava queste posizioni era quasi schernito. Si pensi al libro di Giavazzi e Alesina sull’Europa e a come è stato accolto in Italia. Difatti, si è preferito dare voce a mezzi ciarlatani che cantavano le lodi del modello europeo: facile, appunto, quando il treno è in corsa, e la locomotiva è pagata da altri (gli USA).
Qualcuno sollevava dei dubbi sulla sostenibilità del modello sociale europeo? Le risposte erano fatte di retorica al 100%. Qualcuno rilevava la debolezza politico-militare dell’Unione Europea? Qualcun altro se ne usciva con idee strampalate tipo Europa potenza tranquilla o Normative Power Europe. Scemenze che così vanno chiamate. Ma bisognava dirsi che il nostro era il migliore dei mondi possibili e che, ovviamente, gli studiosi americani o in America che ci criticavano erano, ovviamente, invidiosi.
La nostra popolazione è più vecchia, meno istruita, meno sana, meno produttiva. E tra quelli bravi, sempre di più scappano in America a lavorare e a studiare.
La mia impressione è che la Germania non uscirà dall’Euro, a meno di sviluppi per fortuna impensabili. Sta di fatto che oggi si discute di moneta unica. Domani bisognerà però pensare al futuro dell’unione politica. Un anno fa, di questi tempi, si parlava di declino americano. Questo è in atto, come abbiamo già detto più volte. L’Europa è in caduta libera, però, e politicamente (leggi Politica Europea di Sicurezza e Difesa) ciò avrà delle enormi conseguenze.
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