Dopo la crisi: per la sostenibilità fiscale serviranno comunque più tasse?

di Mario Seminerio

Mercoledì il governo irlandese ha presentato la manovra di bilancio per il 2010 del paese europeo finora più colpito dalla crisi finanziaria globale. E’ utile analizzare da vicino gli interventi previsti dal governo di Dublino perché il prossimo anno si presenta come particolarmente impegnativo per i governi, che dovranno tentare di recuperare un sentiero di disciplina fiscale in un contesto di crescita economica che, pur se in ripresa, non appare particolarmente vigorosa, e renderà quindi tutto più difficile.

Inoltre, la difficile situazione economica della Grecia e di altri paesi periferici dell’Unione europea, potrebbe innescare un effetto-contagio di cui anche l’Italia finirebbe col fare le spese, in quanto anello debole della catena europea, per l’elevata incidenza del debito sul Pil e l’assai ridotta capacità di sviluppare crescita economica mostrata nel recente passato. In questo senso l’Irlanda, che finora ha mostrato grande determinazione e sorprendente accettazione sociale delle misure di austerità intraprese, potrebbe essere il precursore di ciò che ci aspetta.

Il governo di Dublino, nella manovra approvata ieri (la terza in 14 mesi), ha scelto di focalizzarsi più sui tagli di spesa che sugli incrementi di entrate, peraltro già adottati nei mesi scorsi attraverso una serie di aumenti d’imposta sul reddito delle persone fisiche. Tra i tagli, spicca la riduzione delle retribuzioni nominali dei pubblici dipendenti, calibrati in funzione del reddito. Gli stipendi saranno ridotti del 7,5 per cento sui primi 40.000 euro, del 10 per cento sui successivi 55.000 euro. Oltre i 95.000 euro di retribuzione il taglio sarà del 15 per cento. Questa marcata progressività servirà in parte a ridurre il malcontento per una manovra che non esenta dai sacrifici neppure i redditi più bassi, visto che sotto i 30.000 euro il taglio sarà comunque del 5 per cento.

Previsti anche tagli al generoso sistema irlandese di welfare, con riduzioni del 4 per cento ai trasferimenti, e di 16 euro al mese per i figli a carico e tagliato il sussidio destinato ai giovani di meno di 25 anni che cercano impiego. I non residenti di passaporto irlandese dovranno comunque pagare una sovraimposta di 200.000 euro annui sui redditi superiori ad 1 milione di euro, misura subito ribattezzata Bono Tax, dal nome del leader degli U2. Sul versante fiscale, dopo che negli scorsi mesi sono state aumentate le imposte sulle proprietà immobiliari (un po’ tardivamente, come sempre quando i governi si compiacciono troppo della crescita causata da bolle), un po’ di stimolo al prostrato settore delle costruzioni verrà dall’introduzione degli acquirenti della prima casa, che avranno una scadenza per poter beneficiare delle deduzioni d’imposta sugli interessi sui mutui. Si è inoltre deciso di ridurre l’Iva al 21 per cento, e di tagliare le accise sugli alcoolici. Introdotta anche l’ormai classica rottamazione delle auto, con un beneficio fiscale di 1500 euro. Per fare cassa dal versante delle entrate verrà poi introdotta una carbon tax sui carburanti che aumenterà il prezzo di benzina e diesel ripettivamente di 4 e 5 centesimi il litro.

Nel complesso si tratta di misure piuttosto severe, quelle stesse che ad esempio la Grecia non è mai riuscita ad introdurre, a causa di crescenti tensioni sociali. Al momento neppure  l’Irlanda è riuscita a toccare le pensioni, non tanto in termini di requisiti di pensionabilità quanto di indicizzazione ai salari dei lavoratori in attività, che quindi richiederebbero un taglio delle pensioni dei pubblici dipendenti che non è avvenuta.

Ci attendono mesi difficili: il perseguimento di condizioni di stabilizzazione fiscale richiederà manovre molto pesanti. Il ricorso alla leva fiscale punitiva per alcune categorie di lavoratori colpiti da forte riprovazione sociale (come i bankers, che vedranno i loro bonus falcidiati da sovrattasse dichiarate una tantum), pur trovando giustificazione nel determinante sostegno pubblico alle banche, è destinato a raccogliere relativamente poco gettito. Se poi pensiamo alla situazione di un paese come l’Italia, appare evidente che gran parte delle misure irlandesi sono impraticabili, non solo e non tanto per le resistenze che ne scaturirebbero, quanto per il fatto che il nostro welfare, dopo lustri di crisi fiscale, è già ridotto ai minimi termini.

Ma a qualcosa occorrerà pensare, soprattutto se il nostro paese, al momento della ripresa, confermerà di avere una crescita potenziale estremamente ridotta, a causa della rigidità del mercato del lavoro e dell’assenza di liberalizzazioni nel mercato dei servizi e delle professioni.

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