Quanto fa paura la Russia?

di Andrea Gilli

Nel 1994, William C. Wohlforth, esimio studioso americano di Relazioni internazionali e attuale direttore della prestigiosa rivista Security Studies, concludeva uno dei suoi articoli più importanti (e probabilmente dell’intero campo di studio, nel corso degli anni Novanta), con la famosa frase:

Russia may be down, but prudent policymakers should not count it out.

Si parlava di stabilità internazionale e Wohlforth avvertiva il rischio di dar troppo presto per spacciata la Russia.Come su Epistemes abbiamo ricordato più volte, gli avvertimenti di Wohlforth erano corretti da due punti di vista. La Russia è ritornata, e soprattutto, gli osservatori occidentali hanno sottovalutato molto spesso sia i suoi interessi, che i suoi obiettivi che, in particolar modo, le sue capacità.

La domanda che bisogna porsi, in questo frangente, riguarda le reali potenzialità russe nel medio periodo. Ora che la Russia ha fatto un suo ritorno sulla scena, quali saranno le sue prossime mosse? Continuerà ad espandersi o si fermerà?

La nostra opinione è che, aiutata dal declino relativo americano, e dunque dall’emersione di un mondo sempre più multipolare, la Russia continuerà a cercare maggiori spazi di manovra, soprattutto nel Caucaso e, al massimo in Asia centrale. La sua riforma delle forze armate va infatti in questa direzione.

Gli Stati Uniti, a dispetto del cambio di amministrazione, sembrano continuare a nutrire un’altra idea. Pochi giorni fa sono state pubblicate le analisi dei servizi segreti americani. In merito alla Russia, la posizione che emerge è abbastanza diretta: gli Stati Uniti credono che Mosca abbia le ali tagliate, che nel futuro il suo declino sarà ancora più marcato e soprattutto che le sue intenzioni non siano accompagnate da mezzi sufficienti. Di conseguenza, la politica estera americana sembra essere indirizzata a non dare troppa considerazione alle aspirazioni di Mosca.

Le dichiarazioni abbastanza sfrontate di Biden sembrano essere coerenti con questa visione.

Dove stiamo andando, dunque? Fare previsioni è impossibile. Tre dati sono sotto gli occhi di tutti.

1. La Russia sta cercando di ritrovare la sua perduta influenza in Asia centrale e nel Caucaso, così da avere maggior peso negoziale verso l’Europa e gli Stati Uniti. Le manovre verso la base di Manas e le prove di forza con la Georgia, così come la sua politica energetica vanno tutte in questa direzione.

2. La Russia, dall’altra parte, deve affrontare diverse sfide interne, che spaziano dai suoi tassi demografici preoccupanti alla sua (in)stabilità finanziaria, fino ad arrivare alla corruzione del suoi sistema politico e all’incerto futuro della sua industria.

3. Il riarmo russo sembra indirizzato ad affrontare sfide come quelle con la Georgia piuttosto che scontri con Grandi Potenze quali la Cina.

Gli Stati Uniti danno dunque per scontato l’indebolimento di Mosca e pertanto non sono intenzionati a tenere troppo in considerazione i suoi interessi strategici. Le considerazioni fatte al punto due, unite a dati come questi, sembrano dar loro ragione. Dall’altra parte, Mosca, a quanto pare, sta già rispondendo a questi sviluppi, proiettando la trasformazione del suo esercito lontano da una minaccia come quella cinese – punto 3. In questa maniera, può concentrare i suoi sforzi su poche ma precise questioni. Ciò ci porta alla domanda iniziale e al punto 1. Dove vuole andare la Russia?

Se l’espansione della sua influenza è progettata su scala planetaria, allora è ovvio che le sue aspirazioni verranno frustrate. Se però, invece, le sue ambizioni sono più modeste, ma anche più precise, allora è possibile che gli Stati Uniti si trovino un avversario ben più tenace di quanto si aspettano. In definitiva, l’avvertimento di Wohlforth finirebbe per restare ancora valido e attuale. Una seconda considerazione è però d’obbligo.

Secondo questa lettura, mal interpretando le aspirazioni di Mosca, gli Stati Uniti non farebbero altro che renderla più determinata nei suoi obiettivi regionali (Caucaso, Asia Centrale ed Europa Orientale) e distanziarla dalla sfida cinese. In altri termini, starebbero contribuendo direttamente a complicare la loro politica estera. L’assenza della sfida russa significa, per la Cina, la possibilità di concentrarsi maggiormente in Est Asia – area nella quale gli USA non sono assolutamente disposti a permettere l’ascesa dell’egemonia cinese. E così torneremmo da capo alla politica estera russa, e alle relazioni tra Mosca e Washington.

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