La minaccia dell’Islam (?)

di Andrea Gilli

Con i recenti attacchi di Mumbai, alcuni osservatori hanno cercato di rinvigorire una vulgata oramai abbastanza frusta che vedrebbe nell’Islam la vera minaccia alla nostra libertà e alla nostra sicurezza. Crediamo che questi miti vadano sfatati.

Karl Popper diceva che una spiegazione è scientificamente accettabile se è falsificabile, ovvero se è possibile smentirla. La vulgata per la quale la vera minaccia che ci troviamo ad affrontare sarebbe rappresentata dall’Islam non rispetta chiaramente i suddetti canoni.

Negli anni passati, la leggenda dell’Islam come religione di morte ha raggiunto una certa popolarità anche grazie a docenti universitari e studiosi poco propensi al rigore, e giornalisti poco forniti di conoscenze adeguate e quindi ben lieti di reiterare qualsiasi elaborazione teorica dei loro pensatori di riferimento. Era una facile spiegazione che serviva gli interessi di politici impreparati e di una popolazione perlopiù spaventata. Il piatto era servito.

Pareva che il dibattito pubblico si fosse un po’ ripulito di queste macerie intellettuali, invece, come forse era facile aspettarsi, con i recenti attacchi di Mumbai abbiamo assistito ad una sua riedizione. Pseudo-esperti e giornalisti hanno nuovamente tirato fuori dal cappello la storia per la quale l’Islam avrebbe qualcosa di intrinsecamente violento. Esso, dunque, sarebbe la causa della morte e distruzione che di tanto in tanto osserviamo. Proviamo a smentire brevemente questa tesi.

Ragioni e dichiarazioni non coincidono
In primo luogo, ciò che troppi dimenticano è che la politica (intesa come l’ottenimento di consenso da parte di altri individui – politics) è fatta di due componenti: la retorica (l’uso mirato e calibrato delle parole, delle emozioni, e delle passioni) e le scelte politiche (policy, quelle definite da chi è in grado di comandare). Per ottenere il sostegno popolare, si usano i fatti e dove i fatti non bastano, si usano le parole, le emozioni.

Il fatto che qualcuno si dica ispirato all’Islam non necessariamente significa che lo sia. Altrimenti, usando la stessa metodologia analitica, dovremmo pensare che Stalin davvero volesse la pace mondiale o ch un satrapo come Saddam Hussein volesse difendere la causa irachena.

Con questa semplice distinzione, appare evidente, dunque, che la religione degli attentatori risulta essere di colpo di scarsa importanza. Costoro si dicono ispirati all’Islam, ma lo sono veramente? I loro atti, le loro azioni, sono davvero mossi dalla sfera ideale? Oppure, più realisticamente, non può essere che essi siano mossi da obiettivi più materiali, come il raggiungimento del potere? Forse dobbiamo guardare ai loro obiettivi, per capire se la religione sia davvero importante per comprendere i loro atti.*

Uomini, persone e gruppi
Il secondo problema riguarda la comunità di religiosi. La religione è un fatto privato che tuttavia accomuna milioni di persone. Il fatto che un gruppo di individui decida di compiere atti violenti in nome della sua religione di appartenenza più che una prova della violenza intrinseca di quella stessa religione sembra fornire la prova contraria. Nel caso dell’Islam, religione con un miliardo e mezzo di fedeli, non si può non notare che se davvero vi fossero all’interno di questa confessione delle componenti intrinsecamente violente, allora dovremmo avere un miliardo e mezzo di combattenti in giro per il mondo. In realtà, ne abbiamo qualche migliaia.

Con una piccola comparazione, risulta ancora più facile comprendere questo punto. Eventuali atti terroristici da parte di una setta cristiana dicono qualcosa sul Cristianesimo? No. Perché il Cristianesimo ha tante anime, migliaia di sette, e milioni di fedeli. Nessuno riterrebbe il Cristianesimo responsabile per gli attentati dell’Ira (il gruppo terroristico irlandese della fazione cattolica) o per i suicidi di massa che, di tanto in tanto, avvengono tra i suoi fedeli. Se applicassimo il metodo che applichiamo all’Islam anche al Cristianesimo, allora dovremmo trarre queste conclusioni. Non lo facciamo, perché è semplicemente ridicolo.

Albania: eccezioni troppo grandi per essere dimenticate
L’affermazione per la quale l’Islam sarebbe questa religione violenta e genocida non è poi provato dai fatti, visto che vi sono alcune evidenti eccezioni. Una è l’Albania. Il piccolo paese balcanico ha una significativa porzione della sua popolazione fatta di islamici. Eppure la convivenza con gli altri gruppi religiosi non desta problemi. Situazioni simili si possono trovare un po’ in tutto il mondo: la Turchia è una di queste, per esempio. Il loro significato, in ogni caso, rimane sempre lo stesso: l’Islam non può chiaramente essere una religione violenta se in numerose situazioni è in grado di convivere pacificamente con altre confessioni. Certo, l’Islam è presente in numerose aree di conflitto. Bisogna però capire, a questo punto, se sia l’Islam a provocare il conflitto, o se sia il conflitto a tirare in ballo l’Islam.

Stalin è stato per alcuni decenni a capo di uno Stato che voleva superare il nazionalismo. Quando però la Germania nazista attaccò la Russia Sovietica, Stalin chiamò a raccolta il popolo per la grande guerra patriottica contro l’invasore straniero. Stando agli strumenti analitici di chi critichiamo, Stalin dovrebbe dunque essere visto come un pericoloso nazionalista. In realtà la politica, per ottenere consenso, cerca di stimolare le emozioni della popolazione toccando quei punti nei quali essa è maggiormente sensibile. Ecco perché Stalin si rifece al nazionalismo. Ecco perché i terroristi di oggi si rifanno all’Islam. Dunque, la religione, più che essere causa, appare più come un pretesto.

Etnocentrismo e banalità

Con l’11 settembre, si è diffusa la vulgata per la quale gli attentatori ci odierebbero per via della nostra libertà e della nostra democrazia. Spiegazione facile che diventa altrettanto facilmente popolare. Che la suddetta spiegazione sia anche provata dai fatti è però tutta un’altra storia. E difatti la realtà è diversa. In questi ultimi giorni alcuni hanno provato a ripetere lo stesso mantra a proposito dell’India. Il punto è che se il terrorismo avesse come obiettivo la nostra libertà e la nostra democrazia, allora attaccherebbe la Svezia, la Svizzera, la Norvegia. Non succede. Attacca gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Spagna, l’Italia. Tutti paesi che si oppongono ai fini politici che esso si propone di realizzare – l’ottenimento del potere in Medio Oriente.

Più continueremo a raccontarci le favole che ci fanno comodo, meno riusciremo a comprendere il terrorismo e quindi a combatterlo. Questa, finora, è l’unica lezione che possiamo trarre da 8 anni di lotta al terrorismo.

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* Nel caso degli attentatori di Mumbay è ancora troppo presto per identificare i loro meta-fini. Pare che alcuni di essi fossero pachistani, ma non è ancora chiaro, se quali e quanti. Non si può quindi ancora dire se fossero indiani intenti a scatenare una guerra civile interna – con l’obiettivo ultimo di dare maggiore potere alla minoranza islamica. Se fossero pachistani che miravano a far scoppiare uno scontro militare tra India e Pakistan. Se fossero pachistani che vogliono, con una prova di forza esterna, cercare il colpo di mano interno o chissà cos’altro ancora.

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