Le crisi salutari

di Paolo Asoni

Crisi del mercato? Ecco perché non c’è o perlomeno non è stata definita ed interpretata nella maniera corretta. Questo articolo cerca di rispondere a semplici domande e di dimostrare come le risposte di analisti e giornalisti siano finora state non soddisfacenti.

Nella crisi dei subprime la stampa (italiana ed internazionale, specializzata e generalista), ha finora soprattutto enfatizzato l’aspetto del fallimento del mercato nell’assicurare stabilità al sistema economico mondiale. Niente di più sbagliato.

Sono proprio le motivazioni fondamentali della critica al mercato che non ci convincono. In primo luogo, c’è finora stata una semplice correzione del mercato in una fase rialzista che durava ormai da cinque anni. In ogni fase rialzista, infatti, si creano delle situazioni in cui l’eccesso di confidenza e la volontà di guadagno fanno sottostimare il rischio implicito di alcuni strumenti. Ciò che dovrebbe essere tenuto in conto infatti non è l’indice di mercato ma i fondamentali dell’economia. Poiché le aziende sono in salute (eccetto il settore finanziario che aveva iniettato troppo rischio nel suo bilancio) e la tendenza dell’economia mondiale per fortuna non sembra guidare verso una crisi della produttività, possiamo dire che questo periodo di transizione non sia altro che un forte vento che porta via le foglie cattive.

Gli strumenti che vengono spinti da aspettative di guadagni rapidi sono solitamente strumenti complessi e di non facile comprensione. Strumenti che non sono ben conosciuti nella struttura ma che sono così spinti e pubblicizzati ad ogni angolo del mercato dalla forza-vendita, che alla fine diventano popolari, pur senza comprensione del loro effettivo funzionamento.

Ci sembra corretto spiegare brevemente cosa sono i principali strumenti di questa crisi; i CDS o Credit Default Swaps e i CDO o Credit Default Options.

Innanzi tutto una spiegazione tecnica, sperando di riuscire a renderla di facile comprensione a tutti. La compagnia A riceve un pagamento di 10 dalla compagnia B. La compagnia A è preoccupata dal fatto che se la compagnia B fallisce non riceve più i soldi. Allora una compagnia C, che magari ha una maggiore visibilità sui conti di B, dice ad A “Pagami un certo ammontare e ti assicuro io che anche se B fallisce io continuo a pagarti 10”.

Le istituzioni finanziarie possono o prendere parte come compagnia C (cosa che non amano fare e non vogliono fare) o intermediare tra C e A.

Il problema dove è sorto? E’ sorto nella frase di sopra “che magari ha una maggiore visibilità sui conti di B” infatti come è comprensibile in una fase dove l’utile di un’operazione sembra sicuro si sono persi i valori di controllo dei fondamentali. In poche parole se tutti comprano ad occhi chiusi non ho bisogno di controllare se la merce è buona. Questo ha deteriorato i fondamentali statistici alla base del pricing degli strumenti sintetici e quindi una volta stressato questo punto hanno perso di valore i prezzi stessi di questi strumenti. In pratica gli strumenti avevano un prezzo più alto di quanto era implicito nei fondamentali.

Infatti un’operatrice del desk di CDO in un’importante istituzione finanziaria transoceanica me li ha spiegati così in tono scherzoso ma comunque sintomatico: “Compri una barretta di cioccolato in Russia a 10, gli cambi la carta che la avvolge e la rivendi in UK a 15. Ci guadagni 5”.

Come i junk bond negli anni ottanta, così i subprime vehicles oggi erano visti come fonte di denaro facile. Si mettevano un po’ di milioni in subprime vehicles ci si guadagnava l’interesse e poi via come se nulla fosse. In una continua compravendita di titoli.

E no. Una regola aurea che viene persa in periodi di mercato rialzista è proprio questa: ad ogni rendimento è associato un rischio. I fondamentali per fortuna non sottostanno all’euforia generale. Così che quando poi in questi rendimenti vengono riflessi i rischi il mercato si corregge e si parla inevitabilmente di crisi, mentre si è semplicemente modificata la curva del costo del capitale:

In parole semplici le aziende che si indebitano troppo vengono penalizzate dal mercato. Prima del credit crunch non era così. Le compagnie erano incentivate ad indebitarsi indefinitamente.

Per i più usi a questi grafici, vorrei sottolineare il fatto che nel grafico il problema non è una curva meno accentuata pre-correzione ma il fatto che la curva aveva un punto di minimo in BB invece che in BBB.

Perché dico che è una correzione e non una crisi? Perché prima il mercato stava dando incentivi sbagliati mentre ora sta indirizzando i flussi di denaro nella giusta direzione. Si è trattato, in definita, di un salutare risveglio del mercato.

Paradossalmente, la crisi dei subprime del mercato ha posto fine alla “vera” crisi del mercato. Quella che non gli permetteva di prezzare correttamente il rischio.

A conclusione vorrei permettermi un’ulteriore osservazione diversa ma lo stesso sotto i riflettori in questo momento.

Vorrei evidenziare un problema che appare molto comune anche tra gli operatori più accorti. Per quanto riguarda il sistema finanziario, è stato promosso (non a pieni voti, purtroppo) il sistema di solidità e liquidità dei bilanci degli enti finanziari chiamato Basilea II, che svaluta i tradizionali rating offerti dalle agenzie, ritenuti non puntuali e standardizzati, mentre imprime una svolta competitiva e tecnologica all’interno di tutte le aziende finanziarie per lo sviluppo e la valutazione dello stato delle aziende. Una possibile, facile ed ovviamente sbagliata osservazione potrebbe essere che Basilea II vale solo per le banche commerciali, che poi queste hanno fatto ricorso a conduit e così via. Un’osservazione che si basa su una mancanza di generalità di Basilea II. Chi ha questa osservazione sulla punta della lingua non tiene in conto del problema principale di Basilea II. Le istituzioni finanziarie stesse, certo non le piccole non sofisticate banche italiane, sono oltre già Basilea II che ritengono ormai antiquato. Ciò che ha vinto e che ha preservato le aziende finanziarie è stata la loro propensione al rischio unita all’istinto di sopravvivenza.

Tutte le istituzioni finanziarie hanno a cuore i propri capital ratios, prime tra tutte le investment bank che pure non hanno obbligo di seguirlo. Poi come succede nel mondo reale c’è chi prende troppo rischio ed infatti punito dal mercato ma questo è il senso ed il motivo della concorrenza. Restano solo i migliori.

Certo questo approccio delle banche d’investimento è difficile da capire dal punto di vista dell’osservatore tipico italiano. Perché seguono una regola che non hanno? Il formalismo delle norme purtroppo è connaturato alla nostra stessa natura. Noi poniamo leggi che puntano ad indirizzare (o se no ostacolare) il prossimo. Non abbiamo lo spirito di una legge che aiuti e preservi la società.

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