Zapatero seduto su una bomba finanziaria

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

Nel suo secondo mandato da premier, José Luis Rodriguez Zapatero si troverà a dover gestire una crisi economica di ampia e profonda portata, mai sperimentata dalla Spagna in epoca moderna, e riconducibile all’implosione del mercato immobiliare, il fattore che negli ultimi anni è stato alla base dell’accumulo di crescenti squilibri macroeconomici del paese iberico. Il primo è più importante dei quali è l’imponente deficit delle partite correnti, che ha ormai raggiunto il 10 per cento del prodotto interno lordo. Analizziamo il quadro macro attuale.

La Spagna ha vissuto, negli ultimi mesi, un rilevante aumento della disoccupazione, passata da poco più di 1,9 milioni a giugno 2007 a 2,5 milioni di febbraio 2008*. Ma mentre pil ed occupazione frenavano, l’inflazione ha continuato ad aumentare, eguagliando a febbraio il tasso tendenziale di gennaio, al 4,4 per cento. Non sorprende quindi che da tale mix di cattive notizie la fiducia dei consumatori abbia subìto duri colpi, posizionandosi ai minimi europei in compagnia della solita Italia e dell’altra economia oggi guidata prevalentemente dalle costruzioni, l’Irlanda. Come noto, la fiducia dei consumatori non si trasforma necessariamente in correlativo andamento delle vendite al dettaglio, ma per la Spagna la regola è stata rispettata: a gennaio è stato toccato il nuovo minimo di una conclamata tendenza ribassista della spesa dei consumatori, a meno 2,4 per cento annuale. Anche il settore manifatturiero e quello dei servizi si trovano in evidente recessione, come mostrato dagli ultimi dati di produzione industriale e dalle indagini condotte presso i direttori acquisti.

Ma il fulcro della crisi, come detto, risiede nel settore delle costruzioni, che da solo ha finito col pesare per circa il 18 per cento del pil spagnolo, contro circa il 10 per cento in Germania e Francia. Gli ultimi dati spagnoli segnalano a marzo uno stock d’invenduto di 500.000 unità immobiliari, pari ad un anno di produzione al vecchio (ed ormai ineguagliabile) passo delle vendite, mentre crollano nuove licenze edilizie e mutui ipotecari, sia in numero che in valore. E veniamo allo stress finanziario. Oggi la Spagna necessita di afflussi di capitale di circa 9 miliardi di euro mensili per finanziare l’enorme deficit commerciale del paese. In un regime di valute nazionali più o meno liberamente fluttuanti, un simile sbilancio di commercio estero si risolverebbe con un forte deprezzamento del cambio. Ma la Spagna non ha una valuta propria, ovviamente. La domanda a questo punto è la seguente: è possibile una crisi bancaria intra-sistemica all’Area Euro per correggere questo squilibrio? Vi sono segnali inquietanti: ogni settimana, all’asta di liquidità della Bce, le banche spagnole raccolgono circa 48 miliardi di euro di finanziamento, importo raddoppiato dalla scorsa estate. Facciamo un passo indietro: dal 2002 alla metà circa del 2007 l’inflazione spagnola è rimasta superiore al tasso-chiave della Banca Centrale Europea ed al tasso euribor a 1 anno. Tassi reali negativi, quindi, che hanno esercitato un potente stimolo su consumi e costruzioni, ed hanno contribuito al forte peggioramento della bilancia commerciale spagnola.

Come detto sopra, un deficit di bilancia commerciale deve essere compensato da afflussi di capitali. Sfortunatamente, gli acquisti netti esteri di titoli obbligazionari spagnoli si sono trasformati, da fine 2007, in vendite nette. Di che titoli si tratta? In larga maggioranza di cedulas hipotecarias, obbligazioni garantite da mutui emesse in quantità industriali dalle banche spagnole, soprattutto le cajas regionales. Tali obbligazioni hanno finora goduto del massimo merito di credito, venendo assimilate ai titoli del Tesoro spagnolo. Circostanza che ha permesso al sistema bancario di raccogliere fondi a costi molto contenuti, e di beneficiare i mutuatari con spread piuttosto ridotti sull’euribor. La crisi creditizia e di solvibilità indotta dalla crisi dei subprime si è rapidamente estesa a tutte le obbligazioni ipotecarie, incluse le cedulas. Fine dei giochi. La liquidità del sistema è evaporata, le banche sono state costrette a ricorrere alle aste della Bce per finanziare i propri attivi patrimoniali e, a livello macro, il deficit commerciale. Ma non è tutto: negli ultimi anni un numero crescente di mutui sono stati stipulati a scadenze cinquantennali, mentre le cedulas hanno durate oscillanti tra i 20 ed i 30 anni. Ciò significa che, quando queste ultime giungeranno a scadenza e dovranno essere rifinanziate, gran parte dei mutui concessi saranno ancora in essere. E’ l’irruzione del premio al rischio nel nirvana degli utili eterni.

Come se ne esce? Un paese con una propria divisa può correggere lo squilibrio delle partite correnti attraverso un mix di svalutazione del cambio e stretta creditizia, per rilanciare l’export e ridurre l’import. La Spagna non può ricorrere alla leva del cambio ed una stretta al credito interno, per correggere un deficit commerciale di tali dimensioni, deve essere di un ordine di magnitudine molto doloroso per l’economia reale. Quali leve utilizzare per riequilibrare questo grave sbilancio evitando un crash dell’economia spagnola resta ad oggi un mistero, né è stato oggetto di dibattito durante la campagna elettorale. Di certo, un pacchetto di stimolo fiscale non appare misura appropriata a sanare un deficit commerciale come quello spagnolo. Mentre nel nostro paese si discetta amabilmente su quale dei nostri contrassegni elettorali (altrimenti definiti partiti) sia l’erede autentico di Zapatero, noi facciamo gli auguri al rieletto premier. Con questo problema sulla testa ne avrà davvero bisogno.

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* Numero di iscritti alle liste di disoccupazione, rilevati dall’INEM l’ultimo giorno lavorativo del mese, a cui vanno aggiunte le persone che cercano impiego part-time sotto le 20 ore settimanali, gli studenti a tempo pieno, i pensionati ed altre categorie che non rientrano nelle elaborazioni INEM. Dato non destagionalizzato.


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