di Mario Seminerio © Libero Mercato
Giorni addietro abbiamo ricevuto una singolare email:
“Aumentando il numero dei taxi i prezzi devono per forza aumentare perché il tassista fa meno corse, e i tempi di attesa sono sempre gli stessi a causa del traffico. L’unico modo per abbassare i prezzi è quello di aumentare le corsie preferenziali in modo che il tassista può fare più corse. Ma questo ormai a Roma non è più possibile perché ci sono troppi taxi e l’unica cosa che si può fare è alzare i prezzi del tassametro in modo da riuscire a fare l’incasso con le poche corse che si riescono a fare.”
Questa email è altamente paradigmatica di una certa concezione dell’attività economica autonoma che esiste in Italia.
In sostanza, il nostro lettore (tassista?) dice: il nostro reddito deve rimanere almeno stabile, se non auspicabilmente aumentare. Ergo, poiché l’aumento dell’offerta rischia concretamente di spalmare lo stesso reddito complessivo su un maggior numero di taxi, le autorità devono fissare le tariffe in modo che il nostro reddito resti inalterato. Non fa una grinza, dal punto di vista della corporazione che non ha mai visto una curva di domanda né una di offerta, e che ritiene che il reddito sia un dato, eterno ed immutabile. Un curioso concetto di lavoro autonomo, non trovate? Se le tariffe fossero non diciamo libere ma sufficientemente flessibili, probabilmente domanda e offerta si aggiusterebbero in modi meno demenziali di quelli a cui assistiamo quotidianamente.
Se le tariffe fossero libere riusciremmo pure a capire quale è la vera redditività del settore dei taxi. Avremmo verosimilmente un aumento di concentrazione, con la nascita di aziende che impiegano tassisti, alcuni dei quali cesserebbero di essere lavoratori autonomi, per insufficiente remuneratività del capitale investito (o per insufficiente imprenditorialità, perché no?), e diverrebbero lavoratori dipendenti. Altri tassisti scoprirebbero che esistono segmenti di domanda non soddisfatta, e potrebbero moltiplicare il proprio reddito. Lo stesso accadrebbe agli autotrasportatori-padroncini: la finirebbero di tenere sotto ricatto un intero paese al solo scopo di mantenere invariato il proprio reddito nel tentativo di recuperare le maggiori voci di costo, ed il paese ne guadagnerebbe in salute: quella dei camionisti stressati dal dover rispettare i tempi di consegna, e quelli degli automobilisti che viaggiano fianco a fianco degli autotreni. In sintesi, i lavoratori autonomi apprenderebbero che l’essenza della loro attività si sostanzia in un banale concetto di rischio d’impresa. A patto che l’impresa sia immersa in un mercato vero, s’intende.
Insomma sarebbe bello se nel paese più socialisticamente corporativizzato del pianeta, (quello dove l’anarco-individualismo -per dirla alla Scalfari- dei cittadini rappresenta una formidabile pulsione alla socializzazione delle perdite ed alla privatizzazione dei profitti), si cominciasse a studiare dalle scuole elementari le curve di domanda e offerta, che sono poi ciò che condiziona le nostre esistenze dalla culla alla bara. Forse riusciremmo ad accrescere il benessere collettivo, e magari pure in modo paretiano, hai visto mai?
7 risposte a “Le leggi dell’economia non usano il taxi”
Vorrei farti notare che l’accordo fa tassisti e comune ha previsto proprio questo: aumento delle licenze E delle tariffe. http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/tassisti-roma/siglato-accordo/siglato-accordo.html
I tassisti credono che la torta in termini di domanda sia quella e non cambi. Forse (inconsciamente) credono che sia una domanda inelastica. Per loro quindi aumentare l’offerta di licenze significa semplicemente spartirsi la torta fra più bocche. Come uscirne? Aumentando i prezzi. La legge della domanda e dell’offerta a Roma non funziona.
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Flavia, mi pare che (forse per eccesso di entusiasmo confutatorio) lei faccia molta fatica a comprendere i testi degli articoli che compaiono su questo sito. Le suggerisco di rileggere attentamente il testo, in caso vi fosse qualcosa che le sfugge può contattarmi alla mia mail, che trova sul sito.
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Sig. Seminerio, vorrei fare una precisazione. La vertenza taxi non si riferiva alla liberalizzazione delle tariffe, peraltro tra le più basse d’Europa nonostante l’aumento, ma ad un incremento dei taxi su strada. Le tariffe massime, infatti, sono stabilite dal Comune; l’unica possibilità che c’è è quella di praticare alcuni sconti in alcuni casi (vedi corse concordate tipo aeroporti ecc.). Questo rende il ns lavoro autonomo “anomalo”; infatti in un periodo di forte domanda, noi non possiamo adattare (alzare) il nostro compenso (prezzo della corsa) come invece possono fare i lavoratori autonomi (loro possono chiedere una parcella più alta).
Concordo sull’applicazione del concetto paretiano; abbassiamo le tasse che gravano sul costo del gasolio (che rappresenta la più gravosa voce di costo della gestione taxi); qualche dipendente pubblico potrebbe perdere il posto di lavoro, ma aumenterebbe il benessere collettivo.
Concludo invitandola a consultare le tabelle dei costi dei taxi nei paesi in cui il servizio taxi è liberalizzato; come vedrà i prezzi non sono inferiori.
Cordiali saluti.
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Stefano, mi pare che lei lamenti che ci sono già troppi taxi in giro e che la domanda di corse in taxi sia anelastica al prezzo. E che lamenti che, quando la domanda aumenta, i taxisti non possano correttamente adeguare i prezzi alla domanda. Mi pare anche di intuire che lei non ritiene che avere libertà di tariffe per i taxisti possa intercettare domanda aggiuntiva riducendo le tariffe, e quindi complessivamente aumentare il reddito della categoria. Ma ad oggi a nessuno è dato sapere se la domanda è realmente anelastica, perché nessuno ha ancora liberalizzato le tariffe. Pertanto lei mi sta proponendo un assioma, e temo che di dogmi in questo paese ce ne siano anche troppi. Che pensano i taxisti della liberalizzazione dei turni, ad esempio? Sarebbe un primo, parziale esempio di adeguamento della domanda all’offerta, pur col vincolo del “cap” al prezzo della corsa. I taxisti sono lavoratori autonomi anomali, concordo con lei, ma proprio perché turni e tariffe non sono liberalizzati.
Riguardo le comparazioni tra paesi, sono molto interessato ad esaminare dati relativi a numero e modalità di assegnazione di licenze, tariffe e tipologia di sovrapprezzi, rapporto taxi-abitanti e confrontarli con il livello generale dei prezzi di un paese. Pertanto, se lei dispone anche solo di parte di tali dati me li invii.
Riguardo l’ottimo paretiano, temo sia cosa differente dagli esempi che lei propone. Nel mio, parlavo di possibilità (da sperimentare) di aumento di reddito complessivo dei taxisti attraverso liberalizzazione delle tariffe. In quel senso l’esempio ricade nel concetto di ottimo paretiano: una situazione in cui l’allocazione delle risorse è tale che non è possibile migliorare la condizione di un soggetto senza peggiorare la condizione di un altro. Lei, invece, coerentemente con l’approccio corporativo che domina questo paese, punta il dito su “altri”. Anche questi “altri” sono probabilmente un problema, ma legarli alla problematica dell’incontro di domanda e offerta di taxi è perlomeno pretestuoso, mi permetta.
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Sig. Seminerio, il mio discorso sul prezzo del gasolio legato alla offerta dei taxi, non mi sembra pretestuoso. Mi spiego. A mio avviso alla base di un buon servizio c’è la qualià del servizio stesso; tale qualità non può prescindere da una giusta remunerazione degli operatori, i quali possono reinvestire parte dei proventi, appunto, nel mantenimento della qualità o addirittura in un miglioramento della stessa. Se la remunerazione è bassa, non ci sono risorse da reinvestire. In alcune città europee, ci sono degli incentivi sostanziosi per i tassisti, sul gasolio; incentivi che azzerano praticamente la spesa sostenuta dal tassista stesso e che bilanciano un eventuale calo della redditività dovuta ad un aumento dell’offerta. (Più taxi – calo del reddito – incentivo che in parte bilancia il calo.).
Credo che l’obiettivo da perseguire dovrebbe essere il miglioramento del servizio e non la ricerca forsennata di una liberalizzazione che in molti posti ha prodotto effetti contrari a quelli preposti. (Addirittura ho avuto notizie che però non posso dimostrare, che in alcune città, dove si è ottenuto un forte aumento dell’offerta, le autorità locali stiano ritirando alcune licenze dietro pagamento di un indennizzo al tassista). Invece continuo a percepire, anche dalle sue parole, l’esigenza della liberalizzazione come obiettivo finale e non come mezzo (quindi discutibile)per raggiungere l’obiettivo finale del miglioramento del servizio. Nella creazione di questo malinteso di fondo, credo abbia giocato un ruolo importante la “guerra santa” scatenata da alcuni politici e media ai danni della mia categoria; malinteso nel quale, mi permetta, lei sembra cadere. Infatti mi ha immediatamente accusato di pretestuosità e corporativismo (termini assolutamente inflazionati nella suddetta guerra). Un esponente dell’attuale maggioranza ha detto alla radio: “I tassisti non hanno tutti i torti; non si può liberalizzre iniziando dal basso. E’ sicuramente più facile, ma sbagliato”. Ovviamente concordo con tale pensiero.
Sul link sotto indicato può verificare alcuni dati sui taxi in Europa.
http://www.taxistory.net/files/2007_Tariffe_taxi_estero.zip).
Cordiali saluti.
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Stefano, i dati che lei fornisce sono (come correttamente segnalato nel paper) parziali, non tengono conto del costo della vita nei differenti contesti nazionali. Né della pletora di sovrapprezzi di ogni fantasia e tipologia, oltre alle note “progressioni” scalettate per spazio e tempo, che fanno la vera differenza tariffaria. Sarebbe per me facile risponderle proponendo a mia volta altri “studi”, come questo:
Oppure citare i dati non smentiti pubblicati da lavoce.info proprio su Roma:
Osservo che la vostra categoria continua a non rispondere alla domanda principale: perché in Italia il rapporto tra auto pubbliche e cittadini è troppo basso? E non è una mia opinione. Io non sono un liberalizzatore compulsivo, per me le liberalizzazioni sono un mezzo, e non un fine. Lei parla di qualità del servizio e io le do ragione: oggi la qualità del servizio taxi è scadente e costosa. Guadagnate troppo poco? Le è mai venuto in mente che ciò derivi dal rigido sistema di tariffe amministrate rigide (anche verso il basso) e dalla rigidità della definizione dei turni che VOI tassisti imponete ai comuni, pena blocchi stradali e paralisi urbana? Io sono per combattere le aree di privilegio, ovunque si annidino. Non faccio guerre di religione: sono un contribuente che non può bloccare stazioni, aeroporti e strade, e che paga le tasse che servono anche a finanziare i sussidi erogati a pioggia in questo paese.
Cordiali saluti.
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Venerdì sera, da Porta Pia a Porta Pinciana, sarà massimo un km: 8 euro. Ritorno da Via Veneto a Porta Pia: 10 euro. 18 euro in una sera per il taxi per fare qualche km. Follia pura!
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