Il protezionismo mistico di Sarkozy

di Mario Seminerio

Parlando di fronte al Parlamento europeo martedì scorso, il presidente francese Sarkozy ha denunciato lo stato di “crisi politica e morale” in cui l’Europa versa, proponendo la creazione di una commissione di saggi per discutere “senza tabù” e comprendere dove sta andando il Vecchio continente. Per Sarkozy, che riecheggia i toni “antimercatisti” di Giulio Tremonti (o viceversa, s’intende), la profonda crisi d’identità europea sarebbe legata “alla globalizzazione ed alla commercializzazione del mondo”, in un contesto in cui i valori economici sembrano aver fatto premio su tutti gli altri. “L’Europa può essere Europa davanti agli occhi di tutti gli uomini solo difendendo i valori spirituali e di civiltà, raccogliendo tutte le sue forze ed energie per difendere la diversità culturale”, ha proseguito il presidente francese, che è poi tornato sul tema che più gli è caro: la rivalutazione del concetto di protezionismo, termine che “non deve essere posto fuori legge”.

“Se gli altri hanno il diritto di proteggersi dal dumping, perché l’Europa non potrebbe fare lo stesso? Se le altre nazioni attuano politiche industriali, perché non l’Europa? Se altri difendono i propri agricoltori, perché non l’Europa?”, si è retoricamente chiesto. “Se il nome dell’Europa è associato alla competizione, essa non può essere sola al mondo a farne il proprio credo”.

Mentre Sarkozy pronunciava queste mistiche frasi, la Corte dei Conti europea rifiutava per il tredicesimo anno consecutivo di apporre il proprio sigillo di conformità sull’80 per cento del bilancio comunitario del 2006 citando errori, carenze di comprensione dei complessi meccanismi di erogazione dei fondi comunitari ed irregolarità di varia natura, inclusi i tentativi di frode. Esemplare il caso dei sussidi agricoli, dove il nuovo Schema unitario di erogazione, basato non sulla produzione ma sull’ampiezza dei terreni, ha portato all’erogazione dei fondi (che è curata dagli stati nazionali) a ferrovie, golf club, ippodromi e municipalità. La Corte dei Conti europea stima che il 12 per cento dei fondi sia stato sprecato in questo modo.

Che c’entra ciò con Sarkozy? Molto, perché queste vicende rappresentano in modo quasi plastico le contraddizioni di un continente e dell’uomo che è convinto di essere stato inviato dal destino per ridefinirne la missione. Della politica agricola comune abbiamo detto: Sarkozy vuole “proteggere” gli agricoltori europei, soprattutto quelli francesi, ma sembra ignorare che, in un contesto di prezzi agricoli mondiali in forte e non transitoria crescita, la tanto deprecata globalizzazione rappresenta un’eccellente occasione per ridimensionare i sussidi e liberare risorse da destinare ad esempio alla ricerca ed alla coesione sociale. E ancora, mentre in patria Sarkozy lotta contro i privilegi delle baby pensioni e dei “regimi speciali”, in una prova di forza contro il sindacato il cui esito determinerà il suo futuro politico (non solo nazionale), in Europa egli si batte per mantenere i privilegi dei produttori più inefficienti contro la competizione internazionale ed il beneficio che essa può procurare ai cittadini consumatori

Il Sarkozy francese vuole “liberare la crescita”, quello europeo vuole “imprigionarla” nel protezionismo. Giorni addietro, in occasione del suo viaggio negli Stati Uniti, Sarkozy ha ammonito (o più propriamente minacciato) che la eccessiva debolezza del dollaro rischia di causare una “rappresaglia economica” da parte dell’Europa. Il labile concetto di dumping riemerge. Ma non dimenticate la fondamentale differenza che esiste tra una guerra fatta di pallottole e missili e la “guerra economica”. In quest’ultima, ogni governo belligerante punta le armi contro i propri concittadini, chiedendo che essi rinuncino a trarre vantaggio dai buoni affari offerti dagli “stranieri”. In altri termini, in una “guerra economica” quando il governo del paese A attacca i cittadini di A, il governo di B compie la rappresaglia attaccando i cittadini di B, con dazi e tariffe. Il governo A risponde a sua volta, in una perversa “corsa agli armamenti” dove gli sconfitti sono solo i cittadini consumatori.

Questo, Sarkozy sembra proprio non riuscire a capirlo. E soprattutto non riesce a capire che “primum vivere, deinde philosophari“. Prima liberiamo la crescita, e produciamo risorse indispensabili per impedire il declino di un continente, vittima non della globalizzazione ma della propria sclerotizzazione, e poi potremo utilizzare quelle risorse anche per continuare a coltivare e auspicabilmente diffondere quell’umanesimo di cui andiamo giustamente orgogliosi. Tentare di invertire questo flusso causale segnerà la nostra condanna.


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