Baratto o gold standard?

di Mario Seminerio

Lo scorso mese, in un discorso pubblico, Ben Bernanke aveva dichiarato: “Non è responsabilità della Federal Reserve – né sarebbe appropriato – proteggere prestatori ed investitori dalle conseguenze delle loro decisioni finanziarie“. Che tradotto voleva dire che la Fed di Bernanke non avrebbe agito come la Fed di Greenspan, cioè non avrebbe iniettato fiumi di liquidità nel sistema finanziario statunitense (e globale) al solo scopo di evitare il panico di mercati finanziari gonfiati dagli anabolizzanti di bolle finanziarie create da precedenti “salvataggi” dei bonus di Wall Street.

Naturalmente, potremmo anche ipotizzare che Bernanke e la Fed, attraverso i loro sofisticatissimi modelli econometrici, abbiano “visto” la devastazione prossima ventura dell’economia reale, e non solo dei mercati, agendo di conseguenza. Oppure, più banalmente, che l’approccio “preventivo” di Greenspan sia diventata ormai l’unica regola di condotta delle banche centrali. Ora torniamo al “business as usual“: case d’investimento che tornano a macinare utili da intermediazione; premi Nobel, Ph.D e bricoleur che assemblano strumenti d’investimento “a controllo del rischio”, quelli che resistono a 25 sigma e non si attaccano al lavoro del vostro dentista.

Guitti televisivi della Cnbc si inginocchiano verso Wall Street ed intonano il canto del muezzin-consumatore statunitense, quello con due ipoteche e quattro carte di credito revolving. E vissero tutti felici e contenti? Forse. Tra qualche settimana, torneremo a spaventarci per il rigonfiamento degli aggregati monetari, per i rischi d’inflazione. Come per le dipendenze da sostanze psicotrope, questi salvataggi sono destinati a divenire sempre più ravvicinati, cioè sempre meno efficaci.

Gli squilibri globali si stanno accumulando: la Cina sta iniziando ad esportare inflazione, gli Stati Uniti ad importarla, per effetto della debolezza del dollaro, che a sua volta contribuisce a determinare l’ascesa dei prezzi petroliferi, in uno schema classico. Aggiungete a ciò la forte rivalutazione delle commodities agricole, causata dalla corsa all’etanolo e dal cambiamento dei modello alimentare delle economie emergenti asiatiche, verso un maggior contenuto di proteine animali. Se Bernanke punta realmente al controllo degli aggregati monetari, tra qualche mese potrebbe ritrovarsi nella condizione necessaria e necessitata di revocare il taglio di ieri. In quel caso l’ottovolante monetario inciderà sul meccanismo di formazione delle aspettative degli agenti economici, accorciandone drasticamente l’orizzonte temporale di pianificazione e tagliando la crescita potenziale. Se Bernanke e le banche centrali preferiranno invece limitarsi alla moral suasion, abbaiando alla luna i propri ammonimenti antinflazionistici salvo poi battere in ritirata e precipitarsi ad aprire le chiuse della liquidità ad ogni crollo di borsa, è verosimile attendersi, in una generazione o giù di lì, il ritorno al gold standard o al baratto, perché saremo riusciti a seppellire le convenzioni sociali planetarie su cui si basa la creazione di moneta: la fiducia e la credibilità.

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