Perche’ gli inglesi se ne vanno da Bassora

di Andrea Gilli

Dopo alcune settimane di dibattito, la Gran Bretagna ha iniziato a ritirarsi da Bassora. A pochi giorni dalla diffusione del famigerato rapporto Petraeus (dal quale sembrano dipendere le sorti del conflitto iracheno), la scelta sembra infliggere un duro colpo tanto alla tenuta della coalizione dei volenterosi che alla volonta’ americana di restare in Iraq.

La scelta di lasciare Bassora e’ probabilmente nata diversi mesi fa, verosimilmente gia’ a fine 2006, quando i militari britannici hanno iniziato a far trapelare il loro disappunto per la situazione irachena, per la strategia americana e per tutti gli infortuni che si sono succeduti negli ultimi anni. Il passo successivo sembra essere quello del disimpegno totale dall’Iraq: disimpegno che verosimilmente non tarderà eccessivamente.

Il motivo per cui pero’ gli inglesi sembrano decisi a smontare le tende e’ probabilmente un altro. Si sono resi conto che l’impresa irachena richiede uno sforzo titanico, che le opinioni pubbliche americana e inglese non sono piu’ disposte ad accettare. Come Waltz ha suggerito, il potere degli Stati deriva tanto dalla loro forza materiale (risorse, economia, potere militare, dimensioni del territorio) che dalla loro competenza e stabilita’ politica interna. L’ennesima conferma che cio’ che conta, nel campo internazionale, e’ la forza, comunque essa venga concepita: non le idee.

Da quasi cinque anni, infatti, le autorita’ americane continuano a parlare di continui miglioramenti sul campo. In realta’, se questi avessero avuto luogo, ora non saremmo nella situazione in cui ci troviamo.

Taluni continuano a dire che ci sono stati errori di tattica. In realta’, proprio come alcuni docenti americani avevano previsto, l’errore e’ stato di strategia. Abbattere un regime, installarne uno nuovo e pensare che questo potesse funzionare grazie alla democrazia e’ stata un’illusione piu’ che un’utopia. Christian Rocca, uno dei piu’ noti sostenitori delle posizioni neoconservatrici in Italia, nel 2003 diceva:

Più che altro sembra che i guerrieri del Pentagono confidino in un Medio Oriente libero e democratico, mentre i guerrieri di Colin Powell pensano che sia assolutamente irrealizzabile in breve termine.

Parole profetiche che dimostrano impeccabilmente chi allora aveva ragione e chi aveva torto.

D’altronde, lo stesso Petraeus non sta certo pacificando l’Iraq promuovendo comitati per i diritti civili e per la democrazia (visione idealista: le idee guidano la storia). Petraeus sta pacificando l’Iraq affidandosi quasi solo sulla forza militare (visione realista: la forza come motore della storia).

Gli inglesi, dunque, hanno preso atto che ad una strategia sbagliata si e’ sommata una tattica peggiore. Il risultato e’ stato devastante. Il fatto che ad ogni tornata elettorale la coalizione dei volenterosi abbia perso un pezzo ne e’ solo una piccola conferma: prima la Spagna, poi l’Italia e via via tanti altri.

Le autorita’ britanniche si rendono ben conto del fatto che il sostegno alla guerra e’ oramai ai minimi storici e che il conflitto iracheno piu’ che un asset e’ solo piu’ un fardello enorme per le presidenziali USA.

Il presidente americano Bush si dice ancora convinto del futuro prospero che aspetta l’Iraq. Gli americani la vedono diversamente: specie quando sono loro a dover morire o a pagare le tasse per una battaglia che oggettivamente non intacca minimamente la loro liberta’ e la loro sicurezza.

Ovviamente, non si puo’ escludere che la mossa inglese complichi e magari comprometta la piu’ grande strategia americana. Puo’ essere. Ma se e’ cosi’, tutti quelli che continuano a parlare di errori tattici dovrebbero spiegarci se pensare che gli alleati ti seguano sempre e comunque non e’ un chiaro errore strategico.

In conclusione, gli inglesi si ritirano. Gli italiani si sono gia’ ritirati. Rimangono quasi solo i panchinari. Magari il generale Petraeus fra pochi giorni ci dira’ che la partita irachena puo’ ancora essere vinta. C’e’ da capire se qualcuno e’ ancora disposto a credergli dopo cinque anni in cui, di fronte ad una situazione che andava deteriorandosi, le autorita’ americane hanno continuato a parlare ininterrottamente di miglioramenti sul campo e rapide soluzioni del conflitto.

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