I perchè di un mercato legale di organi

di Pierangelo De Pace

In un dossier intitolato “Ho comprato un rene in Nepal“, pubblicato in data 17 maggio su L’Espresso e firmato da Alessandro Gilioli, sono descritti gli inquietanti particolari di un mercato illegale di organi (reni in particolare) sviluppatosi in India negli ultimi anni. Da quanto si legge, il mercato – i cui clienti più frequenti sarebbero europei ed americani, ma anche ricchi asiatici – prospera e si espande facendo leva principalmente sulla povertà e l’ignoranza, lo sfruttamento e lo scarso senso delle istituzioni della popolazione locale; ed è amministrato da gente senza scrupoli che non esita ad insinuarsi nelle falle e nelle disattenzioni della legislazione indiana per il raggiungimento dei propri discutibili fini.

Lo scorso 30 maggio Letizia Gabaglio descriveva – in un altro articolo comparso su L’Espresso ed intitolato “Un paese in dialisi” – la drammatica situazione italiana per quanto concerne le malattie renali, in crescita costante. I malati aumentano, la necessità di reni nuovi pure, ma non è una novità. A fronte di questa emergenza i trapianti sono ancora pochi, del tutto insufficienti a soddisfare la crescente domanda e, come se non bastasse, il problema sembra essere davvero critico nelle regioni del sud.

In un mio precedente articolo su Epistemes avevo già descritto i dettagli e le implicazioni economiche della possibile costruzione di un mercato legale di organi che cerchi di risolvere il problema dell’eccesso di domanda attraverso l’incentivazione dell’offerta anche attraverso compensi di natura monetaria. Un mercato legale – perché no, anche controllato a livello statale – potrebbe produrre l’aumento di organi disponibili per trapianti, non disincentiverebbe le donazioni, si configurerebbe come un meccanismo più efficiente rispetto all’attuale sistema delle liste d’attesa e della cessione di organi su base esclusivamente volontaria e potrebbe ridurre in maniera non trascurabile il proliferare dei mercati illegali nei Paesi più poveri. Nello stesso articolo mi premuravo di descrivere per sommi capi quali configurazioni e soluzioni possano essere adottate per l’efficace costruzione di un simile mercato.

Mi viene ora in mente un articolo di qualche anno fa, era il 2001, pubblicato su The Boston Globe. La storia fu anche ripresa da The Washington Post. Il giornale raccontava la storia di una donna, Susan Stephens, il cui figlio necessitava di un trapianto di reni assai urgente. Sfortunatamente, i reni di Susan non erano compatibili con la donazione e la sicura esecuzione dell’intervento chirurgico a favore del figlio. Il medico al quale la donna si era rivolta le propose allora una soluzione del tutto innovativa e, forse, ai limiti della legalità nell’ambito della ferrea legislazione statunitense in materia: se Susan avesse donato uno dei suoi due reni ad un altro paziente in urgente attesa di un trapianto, suo figlio sarebbe stato posizionato in cima alla lunghissima lista d’attesa ed avrebbe ricevuto per primo il rene necessario nel caso in cui un donatore si fosse fatto vivo successivamente.

La storia fa sorgere alcune domande interessanti: se alla donna è stato permesso di barattare uno dei suoi reni con un rene per il figlio proveniente da un terzo donatore, le sarebbe stato altresì permesso di scambiare lo stesso rene con una costosa cura sperimentale per il cancro che non sarebbe stata in grado di permettersi in altra maniera? O, magari, con la promessa di essere esentata dal pagamento delle tasse universitarie per il figlio se questi avesse, in futuro, completato gli studi superiori? O, ancora, le sarebbe stato permesso di chiedere in cambio denaro da utilizzare liberamente, anche per l’acquisto di una nuova automobile o di una vacanza esotica?

Come è noto, in base alle leggi vigenti nella quasi totalità dei Paesi occidentali moderni, agli individui non è permesso vendere i propri organi. Da un punto di vista strettamente economico, nel mercato di organi esistente lo Stato ha imposto un tetto stringente  al prezzo di vendita e questo tetto è di fatto pari a zero. L’ovvia conseguenza, come in qualsiasi altro mercato in cui sia imposto un tetto massimo al prezzo esercitabile e tale limite superiore sia stringente, è che vi sia un eccesso di domanda per il bene o servizio in questione. Nel caso specifico di Susan Stephens l’accordo tra ospedale e la donna risultò perfettamente legale esclusivamente perché non si era verificato alcun passaggio di denaro tra un agente economico e l’altro, tra la donna ed il medico che aveva suo figlio in cura.

L’analisi economica, peraltro già evidenziata nel mio precedente intervento sulla questione a cui rimando nuovamente per dati e maggiori dettagli tecnici, suggerisce che ci sarebbero enormi vantaggi nel consentire l’esistenza di un libero mercato di organi, o anche solo di uno regolamentato a livello centrale. Le persone nascono, per esempio, con due reni, ma di solito necessitano di uno soltanto. Allo stesso tempo tanti altri individui soffrono di malattie croniche che colpiscono entrambi i reni rendendoli inutilizzabili. Queste persone sono segnate da un destino triste e quasi inevitabile. Nonostante gli evidenti vantaggi reciproci che possano derivare dal libero scambio di organi ad un prezzo positivo (determinato direttamente dal mercato, o dallo stato, ed in parte sovvenzionato da quest’ultimo), il paziente tipico in attesa di trapianto deve aspettare diversi anni in lista prima di poter accedere ad un nuovo organo da utilizzare nel suo caso specifico. Nel frattempo, prima che la lunga lista d’attesa sia scalata e sia disponibile un organo adatto, migliaia di pazienti muoiono.

Se a coloro che hanno la necessità di un trapianto di reni fosse concesso di acquistare da chi ne ha due ed è disposto a cederne uno, il prezzo dell’organo salirebbe fino al raggiungimento dell’equilibrio tra domanda ed offerta. Non tutti i problemi sarebbero risolti, ma almeno una parte di quei malati destinati a morire per penuria di organi avrebbe invece maggiori possibilità di sopravvivenza.

I venditori guadagnerebbero da queste transazioni del tutto volontarie (e non imposte, come evidentemente sembra, di fatto, avvenire in India o in Cina, almeno in molti casi) attraverso il percepimento di somme in denaro da utilizzare secondo le proprie preferenze o di altri benefici valutabili e quantificabili economicamente. I compratori avrebbero in questa maniera ricevuto l’organo di cui necessitavano per continuare a vivere. La carenza di organi per trapianti scomparirebbe o si ridurrebbe fortemente.

Un mercato con queste caratteristiche produrrebbe un’allocazione efficiente delle risorse, anche se, vi è da dire, che i critici di questo meccanismo sarebbero preoccupati riguardo alla sua equità. Essi affermerebbero che un mercato di organi finirebbe per beneficiare i ricchi, perché gli organi sarebbero consegnati a coloro con più capacità di spesa. Si potrebbe però pensare ad un sistema di finanziamenti e sovvenzioni statali a favore delle categorie meno abbienti per limitare l’insogere di tale evenienza.

Ma il punto è un altro. Se il problema é etico e morale, perché allora non interrogarsi sull’equità del sistema corrente? Così come stanno le cose, la maggior parte di noi continua a vivere con un organo di cui farebbe volentieri a meno dietro pagamento, mentre il nostro vicino di casa muore lentamente nella speranza di riceverne uno un giorno. Tutto questo è forse più giusto? È preferibile che un ricco muoia piuttosto che gli sia data la possibilità legale di salvarsi la vita senza ledere i diritti e le prerogative altrui?

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