di Andrea Gilli
La felicitazione per la liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo, sequestrato due settimane fa in Afghanistan dalle forze talebane, non deve oscurare alcuni forti perplessita’ che sorgono di fronte ai modi attraverso i quali la liberazione e’ stata effettuata.
Infatti, nonostante la presenza in loco tanto di servizi segreti, inviati diplomatici e di alcuni nuclei dei ROS, il Ministro degli Esteri ha preferito utilizzare il canale aperto dall’organizzazione Emergency di Gino Strada.
Ovviamente il fatto che un cittadino italiano e padre di famiglia sia stato portato sano e salvo a casa non puo’ che darci sollievo. Ma, come detto, i modi a cui si e’ ricorso per la sua liberazione pongono forti dubbi.
Lo Stato Moderno nasce – appunto in epoca moderna – con un fine dichiarato: quello di proteggere i suoi cittadini dalle minacce esterne. Con la nascita dei rapporti diplomatici permanenti tra Stati diversi, de facto, la difesa dei propri cittadini avviene anche all’esterno dei propri confini nazionali (cosa che in precedenza avveniva solo quando la posizione di forza lo permetteva). Cosi’, lo Stato, in altre parole, si preoccupa di difendere tutti i suoi cittadini, in qualunque situazione essi si trovino – in virtu’ del patto costitutivo che lega la nazione, e quindi i cittadini, appunto allo Stato, che della nazione e’ il supremo difensore.
Questa difesa, ovviamente, avviene attraverso gli organi dello Stato – non per via delegata, in quanto weberianamente lo Stato rimane il detentore del monopolio della forza e della legittimita’.
La liberazione di Daniele Mastrogiacomo e’ avvenuta invece attraverso un modo del tutto diverso: gli organi dello Stato sono stati infatti sostituiti da un’organizzazione di privati cittadini, una Onlus, guidata da Gino Strada, fondatore e animatore di Emergency. Per capire la gravita’ della situazione basta un semplice parallelismo: si pensi infatti a quale sicurezza darebbe uno Stato che, per liberare la vittima di un sequestro all’interno dei propri confini, anziche’ affidarsi alle forze di polizia si affidasse agli uffici di qualche pastore o di qualche medico, proibendo tassativamente alle forze dell’ordine qualsiasi tipo di interferenza.
La vicenda ha quindi almeno tre gravi implicazioni. In primo luogo c’e’ un problema di rappresentativita’. Il ruolo esercitato dal Dott. Strada nella vicenda pone un problema circa la funzione rappresentativa ricoperta in Afghanistan. D’ora in poi e’ infatti lecito chiedersi a chi sia necessario rivolgersi per risolvere ogni tipo di problema in terra afghana qualora gli interessi italiani siano in gioco. La logica e la consuetudine suggerirebbe l’ambasciata. Quanto successo recentemente suggerisce invece il Dott. Strada. E qui non siamo solo di fronte ad un problema di out-sourcing delle nostre funzioni diplomatiche. E’ un problema, serio, di rappresentativita’: perche’ se il nostro Paese non e’ in grado di farsi rappresentare dal proprio ambasciatore, allora e’ logico pensare che anche i nostri interlocutori afgani assumano che d’ora in poi sia il Dott. Gino Strada a rappresentare l’Italia.
Cio’ ha, di conseguenza, pensanti implicazioni in termini di credibilita’. Se uno Stato e’ costretto a ricorrere agli uffici di un’organizzazione di privati cittadini per liberare i propri connazionali, e’ naturale aspettarsi forti dubbi sulla credibilita’ che esso e’ in grado di reclamare di fronte non solo al Governo afghano ma anche alla comunita’ internazionale.
La logica prosecuzione di questo argomento riguarda le nostre capacita’ negoziali. Non bisogna eccedere in spiegazioni particolarmente complicate per far seguire a quanto detto che la nostra posizione di forza e’ costretta a ridursi sensibilmente, soprattutto – ma non solo – in Afghanistan. Se uno Stato non e’ in grado di difendere i suoi cittadini, allora non si capisce bene per quale ragione possa avocare a se’ il diritto di farne le veci. Senza parlare, poi, delle conseguenze dirette di tutto cio’ sulla nostra presenza militare nel Paese centrasiatico. Sembra infatti che i Talebani stiano per preparare una grande offensiva per cercare se non proprio di riprendere il controllo del Paese, quanto meno di decapitare gli sforzi Alleati a favore della ricostruzione. Rapendo un ostaggio italiano sono riusciti a piegare il nostro Paese tanto da abrogare, temporaneamente, il patto fondativo della nostra Repubblica, quello tra cittadini e Stato. Si pensi alle debolezza che il nostro Paese ha gia’ mostrato nelle settimane precedenti a proposito dell’Afghanistan e dunque si provi ad immaginare quale sia il ruolo dell’Italia nello scenario strategico dei talebani. La speranza e’ che costoro non abbiano mai letto Sun-Tzu: “quando loro attaccano, noi ci ritiriamo. Quando loro si ritraggono, noi attacchiamo”. A guardare la strategia sinora adottata dai talebani, si puo’ dire di tutto, tranne che siano degli improvvisati in campo strategico. E cio’, quindi, significa che, come le evoluzioni delle recenti ore dimostrano, la nostra presenza in loco e’ destinata a diventare sempre piu’ pericolosa.
ps: alcune parole sono dovute anche a proposito della Conferenza di Pace. Da quasi un anno il Governo in carica chiede una conferenza di pace sull’Afghanistan. Forse arrivera’, forse no. Il punto e’ un altro: nei giorni scorsi gli schieramenti dibattevano sull’opportunita’ di invitare o meno i talebani al tavolo. Nel solco neo-ideologico della politica italiana, gli schieramenti si sono divisi equamente tra coloro che erano a favore e coloro che erano contro una tale opzione. Tutta la vicenda stupisce per due motivi. In primo luogo, la conferenza di pace era vista dai suoi sostenitori come opposta, e non complementare, alla missione Nato. Come il Segretario dei DS Piero Fassino ha detto piu’ volte “bisogna andare oltre la missione militare”. Storicamente, come Clausewitz ha insegnato, i nemici si combattono per poi siglarvi insieme una pace. Nel nostro Paese, invece, una coalizione proponeva la battaglia ad libitum, mentre l’altra proponeva la pace senza la battaglia – quale delle due prospettive sia piu’ preoccupante e’ difficile da dirsi. Mentre intanto noi discutiamo se accettare o meno i talebani al tavolo delle trattative, e questo e’ il secondo punto, i talebani sembrano aver scelto chi debba rappresentare l’Italia: e questo non e’ il Governo italiano. “Quando loro attaccano, noi ci ritiriamo. Quando loro si ritraggono, noi attacchiamo.”
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