Conti dormienti e diritto di proprietà

di Benedetto Della Vedova* e Piercamillo Falasca

E’ tornato alla ribalta l’argomento dei cosiddetti “conti dormienti”. Succede con la proposta della sinistra dell’Unione – tradotta in uno dei commi del maxiemendamento alla Finanziaria in discussione al Senato – di attingere ai depositi abbandonati in banca per lungo tempo e non reclamati per finanziare l’assunzione di 350 mila precari delle pubbliche amministrazioni. Il tema aveva già trovato in passato spazio nel dibattito politico-parlamentare. Senza produrre risultati, purtroppo. O, forse, per fortuna, visto che le soluzioni proposte sembravano suggerire tutto tranne l’unica cosa davvero sensata: cercare di restituire questi soldi ai legittimi proprietari. I conti dormienti sono fondi detenuti da banche, da società finanziarie o dalla Posta per conto di cittadini che non sono a conoscenza di tali proprietà finanziarie, per i motivi più disparati: decessi improvvisi, perdita della capacità di intendere e di volere, mancata conoscenza da parte degli eredi del patrimonio finanziario del de cuius o addirittura banali dimenticanze.

Si tratta di casi meno rari di quanto si possa pensare, se le stime più accreditate (comprese quelle di Bankitalia) parlano di valori compresi tra i 10 e i 15 miliardi di euro e che il fenomeno è dibattuto finanche in Gran Bretagna, dove secondo il Financial Times i volumi dimenticati sono ancora superiori. Nella legislatura 2001-2006 si occupò della questione soprattutto il sen. Oskar Peterlini, il quale propose misure che facilitassero l’individuazione dei legittimi proprietari. Durante il dibattito sul ddl in materia di Risparmio del marzo 2005, il sen. Giorgio Benvenuto propose la creazione di un Fondo per il risarcimento dei risparmiatori vittime di frodi finanziari. Grande sponsor del Fondo speciale fu il Ministro Tremonti, che ne posticipò l’istituzione alla legge Finanziaria per il 2006, la quale rimandava ad un successivo regolamento le modalità di attuazione del provvedimento (con il vincolo che il “sonno” durasse da almeno 10 anni). Il regolamento non è stato emanato (si veda a riguardo l’elenco delle misure della Finanziaria 2006 non attuate, realizzato da Il Sole 24 Ore) e l’iniziativa di Tremonti si è arenata definitivamente nel maggio scorso, quando il Consiglio di Stato ha sospeso il parere sullo schema di regolamento ritenendolo carente sotto i profili della definizione del periodo di “dormienza” e dei diritti dei titolari dei conti. Partiamo da una considerazione. Quei soldi non appartengono certo alle banche, che oggi ne dispongono. In questo senso, la misura promossa dal ministro Tremonti aveva una sua ragionevolezza, soprattutto considerando le responsabilità oggettive degli istituti di credito nelle vicende Parmalat, Cirio o bond argentini. Implicitamente si diceva: sono soldi di risparmiatori, li uso per compensare risparmiatori truffati, recuperandoli al circuito del risparmio. Se ciò appare ragionevole, a fortiori lo è la proposta di utilizzare solo una parte di queste risorse per la costituzione del Fondo anti-crac, destinando la rimanenza alla riduzione del debito pubblico. Ipotesi ragionevoli, ma non del tutto convincenti. I dubbi del Consiglio di Stato colgono il punto delicato della questione: vi è da tutelare i diritti dei titolari dei conti, diritti di proprietà. Quei soldi non sono delle banche, si diceva, ma non sono nemmeno dei risparmiatori truffati nei crac finanziari. Soprattutto non sono dello Stato. Quei soldi non sono res nullius, sono dei titolari dei conti o dei loro legittimi eredi. La vicenda richiama alla mente un istituto del diritto civile in materia di successioni: la successione dello Stato. Presupposto della successione dello Stato è una eredità vacante, fenomeno che ricorre quando, rispetto ad un bene appartenente ad un defunto, manca ogni successibile legittimo e testamentario. L’eredità vacante si distingue dall’eredità giacente perché quest’ultima presuppone la possibilità di una futura accettazione: al contrario, quella vacante presuppone accertato in modo definitivo che non vi siano più successibili. Che i soldi dei “conti dormienti” possano, in qualche modo, diventare dello Stato è una possibilità che lo stesso Codice Civile individua, legandola però al presupposto della vacanza dell’eredità e del suo accertamento. Nel caso dei conti dormienti manca, appunto, qualsiasi tipo di accertamento. Né ci convince che sia una legge ad hoc – la Finanziaria per il 2007 – a superare il problema. Una legge di questo tipo sarebbe assimilabile ad un esproprio. Ma – come stabilito dal terzo comma dell’art. 42 della Costituzione – “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.” Quindi: casi previsti dalla legge, indennizzo e sussistenza di motivi d’interesse generale. Anzitutto: assumere a tempo indeterminato 350 mila dipendenti pubblici è interesse generale? Difficile sostenerlo. In effetti, la norma prevista in Finanziaria non prevede che le risorse dei conti dormienti finanzino direttamente l’assunzione dei dipendenti pubblici, ma che vengano utilizzate per abbattere il debito pubblico e che il 20% del derivante risparmio sugli interessi sia la copertura finanziaria della sanatoria sui precari. Qualcuno potrebbe quindi sostenere che abbattere il debito pubblico è motivo di interesse generale. Effettivamente lo è, ma abbiamo dubbi che si tratti di uno dei casi di esproprio previsti dalla legge e, soprattutto, che una tale manovra non intacchi altri importanti principi costituzionali quale – ad esempio – quello di non discriminazione. In più non vi è alcun indennizzo a beneficio dei proprietari (d’altronde, non si sa nemmeno chi siano). Ma evitiamo di impelagarci in complesse disquisizioni dottrinali per le quali non abbiamo gli strumenti (ma su cui invitiamo i lettori a fornirci i loro spunti). La realtà delle cose è purtroppo più semplice: il Governo cercava “banalmente” soldi per finanziare l’assunzione a tempo indeterminato di una massa enorme di dipendenti, pari a circa il 10% del totale del pubblico impiego. Li ha trovati (anche se non sono sufficienti alla bisogna) e li userà. A noi resta una considerazione finale: pur avendo richiamato lo ius civilis e la Costituzione, siamo perfettamente consapevoli che non verrà mai tenuto in considerazione alcun dubbio di costituzionalità del provvedimento; abbiamo voluto però esprimere che, nella nostra visione liberale del diritto, vi è un forte fastidio ogni qual volta viene intaccato il diritto di proprietà.

Benedetto Della Vedova (Sondrio, 1962), economista, presidente dei Riformatori Liberali e deputato di Forza Italia. Svolge attività di editorialista per diversi quotidiani nazionali.

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