E’ rosso, ma Trenitalia va

di Paolo Asoni

Moretti (1) ha lanciato l’allarme: “Trenitalia fallirà se non si corre ai ripari”.

Ogni volta che sento di possibili fallimenti non penso mai alle ferrovie. Sono servizi primari che non dovrebbero mai avere problemi, se ben amministrati. Le persone prendono il treno giornalmente, i vagoni sono quasi sempre utilizzati al massimo della loro capacità, le comodità all’interno non sono superflue. Trenitalia è poi l’unico operatore su vaste aree del territorio italiano.

Trenitalia è un’azienda che in un sistema di mercato (quale dovrebbe essere quello italiano) non dovrebbe avere problemi economici di alcuna natura, specie di natura “ordinaria”. Se un investitore non a conoscenza dei dettagli della situazione ma solo dell’esistenza di problemi penserebbe subito a difficoltà di natura “straordinaria”, ovvero non legate all’amministrazione quotidiana del servizio ma a situazioni inconsuete.
Leggendo i conti della società si nota una gestione ordinaria cattiva per arrivare ad un risultato finale di gestione ancora peggiore; una situazione che si presenta da almeno tre anni (2). Per un azienda di servizi ferroviari tre anni di situazioni “straordinarie” non sono possibili. Questo suggerisce che i problemi sono di natura ordinaria, ovvero di carattere strutturale.

E’ necessario rispondere a due domande; quali sono i problemi di Trenitalia e da dove nascono.

I problemi di Trenitalia
Dopo avere letto il Bilancio Annuale 2006 Trenitalia (3) si chiariscono subito alcuni punti.
Quello che molti pensano ma che non sanno sia vero è che Trenitalia è una cattiva azienda. Una azienda che non sa fare il proprio mestiere. Tecnicamente si guarda al Margine Operativo Lordo (MOL) della compagnia. E’ negativo. Il MOL spiega il cuore dell’azienda: quanto uno guadagna dal suo mestiere meno quanto uno spende per offrire il suo servizio. E’ negativo di circa 175 milioni di euro (4), il 3,4% del valore della produzione. Per ogni 100 euro di valore prodotto l’azienda ne perde 3,4. Basta un poco di buon senso per capire che se l’obbiettivo di Trenitalia fosse quello di produrre valore per i suoi azionisti e i suoi lavoratori, dovrebbe non produrre nulla, perché per ogni unità prodotta, l’azienda perde qualcosa invece di guadagnare.

La situazione non migliora con i successivi margini, anzi peggiora. Si arriva ad un Risultato Ante-Imposte di 632 milioni circa di euro di passivo, il 10,4% del valore della produzione. Ogni 100 euro prodotti alla fine del processo creano una passività di 10,4 euro per l’azienda.

La leva debitoria (Trenitalia ha un Debt/Equity pari a 252%, cioè 252 euro di debito per ogni 100 euro di capitale proprio) e straordinaria (vendita di tutti gli immobili in eccesso e non strettamente necessari), anche a fronte di quanto ammette Moretti e si legge in bilancio, non permettono risanamenti dell’azienda. La società infatti è in perdita non solo nel complesso ma anche nella gestione ordinaria, non può ulteriormente indebitarsi e non ha nessun investimento non necessario (e di valore) da poter vendere.

Gli indici di redditività di Trenitalia non fanno altro che confermare questa tesi. Anzi dipingono un quadro più fosco. Non solo abbiamo un rendimento sul capitale iniziale (Return On Equity, ROE) del -31,5% (5), di per sé un allarme per gli investitori (per ogni 100 euro investiti nel capitale sociale di Trenitalia, ne vengono restituiti solo 68,5), ma, cosa ben più preoccupante, un Interest Coverage Ratio del -59,7% (6): con quello che guadagna in un anno Trenitalia non riesce a pagare neppure gli interessi sui debiti che ha. Trenitalia non si può indebitare ulteriormente, anzi il debito è già eccessivo.

Quanto scritto finora significa che Trenitalia non sa far andare i treni. E per di più non ha nemmeno una buona gestione finanziaria e straordinaria.

Per qualunque attento investitore non sarebbe un bell’affare. Per qualunque attento azionista Trenitalia sarebbe da liquidare.

Ma Trenitalia non è né liquidata né fallita di diritto.

Dove nascono i problemi
Il problema di Trenitalia non è il management, né il settore in cui opera, né tutti coloro che hanno interessi nell’azienda (i lavoratori, il governo, la società, i creditori chiamati generalmente stakeholders) della compagnia. Il problema di Trenitalia sono gli azionisti che non migliorano la qualità dell’azienda e continuano a ripianare le perdite.

Il problema è il socio perché dovrebbe nell’ordine:

1) Tenere in conto la redditività negativa dell’azienda (curandosi di priorità estranee all’azienda)
2) Adoperarsi per una migliore gestione dell’azienda se vuole essere un investitore industriale, ovvero un proprietario che sa fare il suo lavoro
3) Liquidarla se vuole essere un investitore finanziario, ovvero un proprietario che vuole guadagnare dalla vendita di azioni

Il grave problema di Trenitalia è che il socio unico è “Gruppo Ferrovie dello Stato” il cui l’azionista unico è il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Di per sé il socio unico non è un problema anzi porta molti benefici alla azienda. Ma in questo caso il problema è che il Ministero dell’Economia e delle Finanze non è assolutamente capace di gestire una azienda ferroviaria né di capire di cosa l’azienda abbia bisogno.

E’ un problema di competenza e mentalità. Per farlo risaltare mostriamo alcuni concetti di Corporate Governance (7) di Trenitalia.

“Gruppo Ferrovie dello Stato” (8)

Gli obiettivi principali sono:
• il rafforzamento della reputazione dell’impresa,
• la minimizzazione del rischio,
• l’equilibrio dei poteri,
• la salvaguardia dell’autonomia gestionale delle società operative.

Il primo è aziendale come anche il secondo.
Ma che cosa significa da un punto di vista aziendale il terzo punto? E’ un concetto propriamente non economico. L’azienda di per sé non mira a mantenere gli equilibri di potere; tende ad appropriarsi di maggiori risorse e capacità. Anche il quarto è estraneo alla logica dell’amministrazione di un’azienda. Sono il riflesso di un azionista non economico volto al mantenimento dello status quo e alla divisione dei posti di potere. Siamo fuori dall’ambito aziendale e siamo dentro quello politico.

Difatti le analisi portate avanti annunciano quattro problemi principali

– Decisioni lente
– Decisioni non economiche
– Decisioni inefficaci
– Decisioni proibite da regolamentazioni e cavilli legislativi

Soluzioni
Le soluzioni sono semplici ma manca la volontà politica dell’azionista.
I soggetti non industrialmente competenti (il Governo e le parti pubbliche, per intenderci) all’interno dell’azienda dovrebbero lasciare tutte le posizioni di controllo all’interno dell’azionariato e dell’azienda, a livello di Consiglio di Amministrazione e di Comitato Esecutivo, e lasciare spazio ad un azionista industriale. Un azionista che abbia a cuore la creazione di valore per i propri azionisti. Privatizzare, in parole semplici.

Migliorare la Corporate Governance dall’azienda che ancora è soggetta a principi non aziendali e non autonomi, questo le consentirebbe insieme alla prima soluzione di poter avere una propria posizione nella stipula di contratti e decisioni.
Allo stesso tempo sarebbe utile una deregolamentazione del settore e un apertura ai vettori stranieri. La società è gravata da una moltitudine di accordi e regolamenti che non permettono una gestione elastica e flessibile dei mezzi e delle risorse. Con un isolamento effettivo rispetto al resto dei mercati europei.

Un piano che riesca a costruire una strategia di lungo periodo in modo da poter richiamare capitale, creditori e credibilità per poter avere migliori condizioni di prestito. Non è possibile sostenere gli investimenti senza un preciso piano a lungo periodo che supporti gli impegni. Indebitarsi non serve se non si sanno come usare i soldi.

The business of business is business
Come l’Airbus analizzata qualche tempo fa, Trenitalia è un altro esempio di un’azienda governata secondo logiche diverse rispetto a quelle economiche. Come nel caso dell’azienda di aerei manca la comprensione del fatto che un’impresa che non funziona, che non rispetta logiche economiche, che cerca di ottenere altri obbiettivi rispetto a quelli che le sono naturali di guadagno, finisce sempre per distruggere ricchezza. Diventa un costo per la collettività in termini di tasse buttate a ripianare le perdite, di pessimi servizi offerti, di posti di lavoro mal pagati e possibilmente distrutti quando l’impresa inevitabilmente chiuderà.

Come diceva il Nobel per l’economia Friedman “the business of business is business”, ovvero l’unica cosa di cui dovrebbero occuparsi le imprese è di fare impresa, innovare, produrre, guadagnare e creare posti di lavoro duraturi e che producano valore per i lavoratori e per la collettività. Dar loro altre cose da fare è inutile e controproducente.

——– Note:
(1) A.d. di “Gruppo Ferrovie dello Stato”
(2) Bilancio Annuale 2004 “Gruppo Ferrovie dello Stato”
(3) Si veda la Tabella 1 di sunto del Bilancio Annuale 2006 Trenitalia
(4) Bilancio Annuale 2005 “Gruppo Ferrovie dello Stato”
(5) Bilancio Annuale 2005 “Gruppo Ferrovie dello Stato”
(6) Bilancio Annuale 2005 “Gruppo Ferrovie dello Stato”
(7) La Corporate Govarnance è tutto l’insieme di pratiche interne all’azienda atte ad aiutare e facilitare il governo della società
(8) Dal sito www.ferroviedellostato.it

——– Tabelle:

Bilancio Annuale 2006

 


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