di Andrea Asoni
Il fenomeno dell’evasione e dell’elusione fiscale sembrano particolarmente diffusi nel Bel Paese. I dati diffusi dall’Ansa e la conseguente guerra lanciata dal vice-ministro dell’Economia sembrano confermare l’esperienza della maggioranza dei cittadini italiani. Evadere le tasse è un comportamento illegale; questo dovrebbe essere chiaro a tutti. L’annuncio di Visco è dunque dotato delle migliori intenzioni. Gli effetti delle misure previste dall’attuale governo andranno però con tutta probabilità nella direzione opposta.
Non pagare quanto previsto dalle leggi dello Stato da una parte diminuisce le entrate nelle casse pubbliche, limitando la capacità della macchina statale di raggiungere i propri obbiettivi (e causando in seconda battuta un aumento del prelievo sulle spalle di chi le tasse invece le paga), dall’altra equivale al sedersi a tavola e non pagare il conto perché ci pensa qualcun’altro. L’evasione fiscale è reprensibile non solo dal punto di vista legale ma anche dal punto di vista morale, della coesione sociale, dell’appartenenza ad una stessa comunità. Evitare di pagare la propria parte dei servizi di cui si beneficia mina alle basi il patto sociale tra i cittadini.
Per alcuni il discorso finisce a questo punto; l’indignazione garantisce il moral ground di cui abbiamo bisogno per risolvere tale problema con più controlli, maggiori punizioni e crociate moralizzatrici.
Una teoria dell’evasione fiscale
Il fenomeno è molto più complesso e può essere affrontato solo dopo averne compreso le radici.
Le persone rispondono ad incentivi monetari, morali, culturali. In quest’ottica l’evasione fiscale è semplicemente la risposta razionale di tali persone ad un sistema fiscale ritenuto eccessivo, distorsivo o semplicemente ingiusto. Non bisogna dimenticare che il prelievo statale altro non è che un trasferimento forzoso dalle tasche dei cittadini a quelle dello Stato; il prezzo forzoso che le persone pagano per ricevere in cambio alcuni servizi, dalla sicurezza, alle scuole, alla sanità, alle strade, alle pensioni. Quando i benefici percepiti dai cittadini sono inferiori ai versamenti effettuati la risposta ottima è non pagare le tasse, o pagarne di meno. Di fronte a servizi che mancano, a scuole fatiscenti, a strade dimesse, ad autostrade non costruite, ad ospedali vecchi e che mancano di personale il prelievo statale sembra piuttosto un versamento a fondo perduto. Il problema è che la pressione fiscale è troppo alta e l’efficacia della macchina pubblica italiana molto bassa (non mi addentro nell’analisi delle cause di tale inefficienza).
Vi è un altro aspetto del problema da tenere in considerazione. Di fronte ad un sistema rigido come quello italiano comportamenti al limite della legalità possono diventare una valvola di sfogo. Assumere un lavoratore in nero non solo fa risparmiare i versamenti allo Stato ma anche il tempo, le noie burocratiche, le complicanze legislative a cui un imprenditore va incontro qualora voglia produrre ricchezza per sé e, di riflesso, per il paese. L’attività imprenditoriale richiede la massima flessibilità, la massima rapidità e prontezza di risposta; tutto ciò diventa complicato e quasi impossibile nell’Italia dei lacci e lacciuoli. Più facile è ignorare queste regole e produrre “in nero”. L’evasione in questo caso garantisce quel cuscinetto di flessibilità che parte dell’economia italiana necessita per continuare a funzionare.
Gli ultimi due paragrafi non vanno interpretati in senso giustificativo di quello che può semplicemente essere un malcostume, piuttosto si cerca di costruire una teoria dell’evasione fiscale che ci dia strumenti migliori di lotta all’illegalità. Una teoria dell’evasione fiscale che la veda per quello che è: una reazione ad un sistema rigido, costoso e inefficiente.
I costi imposti dal sistema non si limitano ad un eccessivo prelievo e ad un’eccessiva rigidità del sistema: le persone investono risorse, nei termini di tempo e danaro, per trovare il modo di non pagare le tasse. Più il sistema è complicato, più risorse devono essere investite nell’invenzione delle scappatoie al prelievo fiscale. Tali risorse sarebbero invece potute essere investite in attività produttive, nella creazione di un prodotto, di un processo più efficiente, nell’assunzione di un altro lavoratore. Alle storture nelle scelte individuali introdotte dal sistema fiscale si aggiungono le risorse sprecate per cercare di fuggire alle maglie della rete esattiva.
Quale l’effetto delle misure del governo?
Alla luce di quanto spiegato fino ad ora che effetto avranno le 55 misure previste da questo governo? Ognuna delle diverse proposte ovviamente meriterebbe un’analisi a parte e presenta caratteristiche proprie ma si può affermare senza ombra di dubbio che invece di far sparire l’evasione come annunciato, l’effetto sarà quello di aumentare la pressione fiscale, la rigidità del sistema e l’ammontare delle risorse che gli individui investiranno per evitare di pagare la gabella. Probabilmente le entrate dello Stato aumenteranno in maniera limitata ma i costi imposti sui cittadini e sulla parte produttiva del Paese schizzeranno alle stelle.
Il problema di Visco e di chi condivide la sua impostazione è il considerare le persone come semplici automi non influenzati dalle misure di policy che il governo prende. Le persone reagiranno razionalmente alle scelte del governo e faranno fallire le pretese punitive e fiscali del vice-ministro; il prezzo più alto sarà ovviamente pagato dal sistema Italia che continuerà a perdere competitività senza uscire dalla trappola della bassa crescita.
L’analisi proposta offre anche una possibile soluzione al problema. L’unico modo efficace di combattere l’evasione e al tempo stesso ridurre i costi da essa imposti all’economia è la riforma del sistema tributario verso una maggiore semplificazione e una diminuzione delle aliquote e della pressione fiscale. Tale riforma agisce su due fronti. Una riduzione delle aliquote da una parte ridurrà il prezzo forzoso pagato dai cittadini per i servizi ricevuti, ridurrà l’ammontare delle risorse trasferite allo Stato e non tradotte in servizi ma in trasferimenti verso gruppi mirati, lascerà più valore nelle mani di coloro che tale ricchezza hanno prodotto. Una riduzione delle tasse avrà anche un’altra serie di effetti benefici sull’economia che non hanno nulla a che vedere con l’evasione fiscale, come l’aumento dei risparmi e dell’offerta di lavoro, che perciò non sono oggetto di questo breve saggio.
Il secondo intervento sarà la semplificazione del sistema fiscale. Esistono due vantaggi. Da una parte un sistema semplice riduce le possibilità di evasione fiscale. Regimi fiscali separati, deduzioni e detrazioni che si applicano in specifici casi, aliquote personalizzate sono semplicemente il terreno di caccia degli evasori. Dall’altra la semplificazione del sistema ridurrà le risorse investite nella ricerca di buchi da sfruttare per non pagare le tasse, trasferendo quegli sforzi e quelle energie verso attività produttive.
Spiace notare come le soluzioni proposte dall’attuale governo manchino del tutto di una reale comprensione del fenomeno e siano perciò inadatte ad affrontare la questione. L’ennesimo episodio di buone intenzioni che si traducono in pessime politiche; succede spesso quando è l’ideologia e non l’analisi scientifica a guidare le scelte dei governanti.
Le reazione dell’opposizione sembra al tempo stesso un’altra occasione persa dal centro-destra per attaccare l’illiberalità della coalizione di sinistra e proporsi come coalizione riformista e liberale. Sarebbe stato sufficiente proporre un piano alternativo a quello della Sinistra in linea con quanto proposto sopra; la malattia della Destra come della Sinistra sembra la visione di se stessa come alternativa al nemico (i bolscevichi o i berlusconiani) piuttosto che come fucina di programmi e idee ispirati a principi diversi che possano migliorare il Paese.
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