Il ritorno dello Stato in America

di Mauro Gilli

Pochi avrebbero immaginato che gli Stati Uniti, da alfiere dell’individualismo economico e del ruolo limitato dello Stato in economia, si sarebbero apprestati, un giorno, a fare un passo indietro, e riformulare il loro modello di capitalismo. La crisi economica e finanziaria che sta attanagliando il mondo ha però avuto questo effetto. Creando una situazione di incertezza generalizzata e permanente, nella quale i vecchi paradigmi paiono completamente datati e inutili, la crisi ha permesso il ritorno di idee e postulati che, solo qualche anno fa, sembravano bandidi dal discorso pubblico.

La crisi economica in corso può essere identificata come una situazione di incertezza knightiana – una situazione, per la precisione, “considerata dagli attori come un evento unico, tale da impedire loro di identificare addirittura quali siano i loro interessi, prima ancora di come realizzarli” (per usare le parole di Marc Blyth). In questi momenti, prima di capire cosa fare, è necessario capire cosa succede e cosa è successo. La crisi economica ha sollevato una tale nebbia da rendere difficile, se non difficilissimo, proprio questo secondo compito.

Un esempio è dato dal dibattito sul salvataggio del sistema bancario. Mentre alcuni sostengono che l’interesse collettivo si trovi nel mantenimento in vita dei grandi istituti di credito privati, anche al costo di ingenti spese da parte dello Stato, altri affermano il contrario, sottolineando i limiti dell’azione pubblica, e i rischi ad essa associati.

Di fronte ad una situazione di incertezza knightiana, come ha spiegato Marc Blyth nel suo ottimo The Great Transformations: Economic Ideas and Institutional Change in the Twentieth Century, gli attori si rivolgono alle idee, che svolgono in questo caso un ruolo di cartina geografica, permettendo loro di individuare prima di tutto quali siano gli interessi individuali e collettivi, e in secondo luogo come perseguirli al meglio.

In altre parole, in dette circostanze, non sono i fattori materiali (come gli interessi – che, appunto, non possono nemmeno essere identificati), ma i fattori ideali a guidare gli attori.

Nel mercato libero delle idee, quali svolgeranno questo ruolo di guida, e quali verranno abbandonate dipende dalla loro posizione prima dell’emergere dell’incertezza knightiana. Intuitivamente, come l’analisi di Blyth suggerisce, e la crisi corrente conferma, le idee che avevano un posizione centrale prima dell’avvento della crisi finiranno (a torto o a ragione, questa non è cosa che ci interessa discutere) per essere accantonate, mentre le idee concorrenti le sostituiranno nel guidare gli attori.

Ciò è esattamente quanto abbiamo osservato negli ultimi mesi. Infatti, gli agenti (nel significato più generico del termine), una volta scartato il paradigma dominante, hanno cercano la prima sponda possibile a cui aggrapparsi, senza impegnarsi nella formulazione di nuove idee. Il ritorno delle idee keynesiane e del ruolo dello Stato deve, e può solo, essere interpretato seguendo questa prospettiva.

Sorprende, dunque che addirittura un acuto analista come Angelo Panebianco si sorprenda, nel suo editoriale “USA, i pericoli del nuovo corso“, di questa evoluzione. Obama, con il suo ritorno “statalista”, non deve infatti pagare alcuna “cambiale” alla sinistra radicale. “Piano sanitario nazionale, rivoluzione verde, massicci investimenti pubblici, tasse più elevate per gli alti redditi” sono una naturale conseguenza degli sviluppi degli ultimi anni – in gran parte già anticipati sotto l’era Bush, quando il debito è esploso, il defict è andato fuori controllo e lo Stato ha pian piano assunto un ruolo sempre maggiore.

La percezione che il libero mercato abbia fallito, o che comunque non sia sufficiente, si è diffusa pian piano: ma non a partire dalla crisi, ma già dall’11 settembre. La crisi economica del 2007/08 ha sanzionato definitamente questa transizione. Sarà dunque difficile eliminare questa sensazione, almeno nel breve periodo, per cui il mercato non sia in grado di funzionare autonomamente. A torto o a ragione, il libero mercato viene oggi percepito come foriero di mali, e garante degli interessi di pochi. Il fatto che si segua la strada dell’intervento statale non deve dunque stupire.

Come Panebianco sottolinea, non è possibile giudicare se queste scelte saranno efficaci o dannose, e se la presidenza di Barack Obama sarà un fallimento. Certo è che attribuire a quest’ultima la responsabilità per il tramonto dell’immagine “un’America che doveva il suo grande dinamismo alla valorizzazione massima dell’iniziativa individuale” è quanto mai singolare. Per due ragioni: in primo luogo, la colpa è innanzitutto di chi ha permesso che il libero mercato diventasse un gran bazar, facendo così emergere un sistema economico che pochi sostenitori del libero mercato approverebbero. In secondo luogo, accusare Obama è sbagliato perché, date le circostanze, è tutt’altro che certo che un altro presidente avrebbe agito diversamente (ammettendo certi gradi di libertà). D’altronde, il suo predecessore ha certamente contribuito al tramonto dell’America capitalistica (come ha sottolineato, sarcasticamente, Nouriel Roubini).

D’altronde, dopo l’adozione del New Deal, sono dovuti passare quasi cinquant’anni, e ben quattro presidenze repubblicane, perché il ruolo dello Stato nell’economia americana potesse essere ridotto. Ciò non fu possibile grazie a Reagan – come la vulgata popolare vuole far credere. Fu possibile, più semplicemente, perché le condizioni lo permisero. Perché la diffidenza verso l’iniziativa privata si ridusse e si diffuse la consapevolezza che il ruolo dello Stato non era di alcuna garanzia per i più deboli.

La crisi attuale avrà un lungo effetto sul tipo di gestione dell’economia negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Questi effetti si sarebbero verificati anche in caso di elezione di John McCain, e continueranno a manifestarsi anche dopo che Obama avrà lasciato il suo ufficio – fra quattro o addirittura otto anni. Più il pendolo va a destra, tanto più si spingerà verso sinistra. La politica non è forse precisa come la fisica, ma non è neanche al di fuori di ogni logica.

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